l’Adige ha ospitato prese di posizione in merito al prolungamento oltre l’emergenza covid dell’apertura delle scuole d’infanzia per il mese di luglio, impegnando ovviamente il personale. Da ultimo due interventi più approfonditi, che non si riducono a questione contrattuale, di un ampio gruppo di maestre e il 7 febbraio della consigliera provinciale Lucia Maestri. Da bambino ho frequentato tre anni di scuola materna (come allora si chiamava), da genitore ho mandato i miei nove figli alla scuola d’infanzia e sono stato Presidente del Comitato di Gestione in una scuola per più mandati, sono stato consulente per molti anni della Federazione Provinciale delle Scuole Materne, pubblicando al riguardo molti articoli e dei volumi in collaborazione in merito al rapporto tra genitori e comunità e all’autonomia scolastica, accompagnando con altri colleghi docenti universitari, pedagogisti e sociologi e con esperti dipendenti della citata Federazione, il progetto di “scuola di comunità” guidato dal prof. Gino dalle Fratte, che ha avuto dopo anni di impegno nazionale, anche il riconoscimento legislativo con le norme sull’autonomia scolastica. Quanto esposto dalle maestre è del tutto congruente con tutto il lavoro che a Trento, e non solo, è stato svolto dalla Federazione, che gestisce la maggior parte delle scuole d’infanzia della provincia di Trento, testimonianza ancora vitale, tra le poche rimaste, della capacità di autonomia della società trentina. Non Le scrivo, peraltro, per evidenziare esperienze, ma per mettere in luce inversioni di posizione riscontrabili nel dibattito in corso. Come Presidente del Comitato di Gestione e come esponente dell’Associazione Trentina della Famiglia e del Sindacato delle Famiglie, nonché della DC e del Movimento Popolare ho sempre sostenuto, assieme a molti altri, ad altre associazioni cattoliche, che la scuola dell’infanzia non poteva essere ridotta a servizio di custodia dei figli piccoli (come fosse un asilo nido). Il puntare ad es. sul tempo pieno, sul prolungamento d’orario, su un ampliamento del tempo e del calendario di didattica per il personale insegnante, ci sembrava ridurre il tempo educativo in famiglia e nelle iniziative formative che la comunità era in grado di offrire. La scuola dell’infanzia non poteva ridursi a “parcheggio” dei figli. La famiglia non esaurisce il suo ruolo nel mettere al mondo i figli, consegnandoli poi alla collettività, all’ente pubblico. Le misure da prendere per venire incontro a bisogni di cura dei figli dovevano essere altre, e allora si è lottato, con assessori come Pino Morandini o Paola Vicini Conci, responsabile scuola della DC, per il riconoscimento economico (assegno, trattamento fiscale) e previdenziale del lavoro di cura di chi, per farlo, rinunciava a un lavoro fuori casa, per la concessione per chi lavorava fuori casa del “congedo lungo” per maternità e prima infanzia o la possibilità di orario part-time. Da allora anche la politica nazionale ha fatto qualche timido passo in avanti e per queste misure mi sono battuto da parlamentare. Ebbene, allora la sinistra, da quella politica a quella sindacale, si poneva sul fronte opposto e, nel caso specifico, per il tempo pieno gratuito per tutti, per allargare il calendario delle attività didattiche delle maestre, avendo come obiettivo lo sgravio dei genitori e della comunità da impegni educativi, sacrificando la pluralità di modi e di ambienti di socializzazione dei bambini. La scuola materna tendeva ad essere concepita come “istituzione totale”. Oggi siamo all’inversione: una maggioranza di centro-destra spinge per ciò che un tempo voleva la sinistra e la sinistra (vedi la segretaria politica pro-tempore del PD Lucia Maestri) è orientata come un tempo lo era quello che era il centro cattolico. Non è la prima volta che la maggioranza autodefinitasi “popolare autonomista” pratica tali inversioni. Ricordo solo le politiche culturali a favore dei concerti di massa, un tempo tipiche della sinistra (vedi l’Estate Romana). Come mai? Non è per caso che le scelte politiche non siano più confrontate con orientamenti di valore “popolari autonomisti”? Ripetere errori che almeno una parte della sinistra ora evita mi pare sbagliato. L’assessore ha un patrimonio di elaborazioni pedagogiche e sul rapporto scuola-comunità uniche a livello nazionale, produttrice la Federazione Provinciale Scuole Materne. Perché ignorarle?
Lettera indirizzata a l’Adige, non pubblicata