Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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religione

Inumano il medico obiettore che, richiesto, non uccide un essere umano nel grembo materno? Interrogativi a Andrea Makner

Sul Trentino del 6 marzo u.s. Andrea Makner nella consueta rubrica Ragione & Sentimento, che seguo con interesse dato che quanto vi è scritto non è scontato, ancora nella ripresa di prima pagina, scrive “Personalmente trovo profondamente disumano che un medico davanti a una donna che intende abortire possa dire no”. Nel testo completo della sua risposta a una lettera, Andrea Makner, dalla foto una donna, nonostante che il nome induca in Italia a pensare a un uomo (in italiano per una donna si userebbe Andreina) l’inizio è una chiara affermazione che la vita umana comincia dal concepimento, evitando così di negare la realtà, come fanno molti favorevoli all’aborto. Ma la capriola concettuale è fatta dopo: i “concetti sostanziali” di libertà e di dignità imporrebbero di non trarre da questa constatazione una regola valida per tutti: c’è una inevitabile “tara individuale”, che dovrebbe derivare non da principi (spersonalizzanti), ma da “elaborazioni intime e profonde”, il cui precipitato collettivo è stata la legge con il referendum che ha legalizzato l’aborto, rendendolo così sicuro. Andrea Makner si fa poi anche maestra di religione: una religione che abbia come fine il bene della sua gente dovrebbe apprezzare la legge dell’aborto e i suoi risultati, tra i quali una diminuzione degli aborti stessi (peccato che non metta nel conto, come anche il Ministero della Salute, quelli clandestini, resi facili da pillole abortive). Da tale ragionamento il giudizio netto sopra riportato, che giudica inumano il medico obiettore.

Mi piacerebbe capire come sia possibile riconoscere che l’aborto uccide una vita umana e nello stesso tempo giudicare inumano il medico che ritiene una violazione della sua deontologia l’uccidere nel ventre materno (giuramento di Ippocrate, non di un populista o un dogmatico come definisce la Makner chi è contrario all’aborto). E’ vero che lo stato italiano rende possibile l’aborto volontario (peraltro a certe condizioni e previe azioni di rimozione delle cause, per le quali lo stato è del tutto inadempiente), ma sempre lo stato italiano, nella legge che piace molto alla Makner, prevede che il personale medico e infermieristico possa esimersi dalla soppressione di un essere umano (obiezione di coscienza, tutelata anche dalla Costituzione). La Makner vorrebbe abolire tale possibilità? Possibile che non abbia un po’ di pietà anche per quell’essere umano in formazione che viene privato della vita, talora anche con sistemi crudeli? Non ha mai letto la Makner delle sindromi terribili che le donne soffrono dopo aver voluto un aborto? Nessuna pietà neppure per loro, in nome della “tara individuale” che può rendere padroni della vita o della morte di un figlio ancora nel grembo di sua madre?

Spero in una risposta! E spero non dica che da maschio, non avendo partorito, non ho diritto di pensarla diversamente senza essere giudicato maschilista, populista, dogmatico, seguace di una falsa religione, che faccio dire a Dio ciò che mi aggrada!

Suicidio: bene permettere di aiutare chi dice di volerlo?

Mi ha sorpreso l’intervento sul Trentino del 28 febbraio, a mo’ di editoriale, di Mauro Marcantoni, assai critico delle norme italiane che non consentono a chi ritiene insopportabile continuare a vivere di farsi aiutare a uccidersi (un tipo di eutanasia attiva). Non mi ha sorpreso per la posizione in sé, diffusa negli stati dell’Europa Occidentale più secolarizzati e scristianizzati (tra i quali la Svizzera), quanto perché ad esprimerla è un uomo considerato facente riferimento al mondo cattolico, già importante dirigente provinciale e collaboratore di importanti politici democratico-cristiani, un uomo che riveste tuttora responsabilità di rilievo in Trentino nel campo della formazione e della ricerca con pubblico finanziamento, al quale il Presidente della Provincia vorrebbe affidare un centro di ricerca sull’autonomia.

Rispetto il grido di angoscia che una vicenda come quella vissuta da Fabiano Antoniani può suscitare. Credo però che l’invocazione che si è fatta pressante, anche da parte di Marcantoni, di una legge che autorizzi il suicidio con l’aiuto delle strutture sanitarie, richieda di andare oltre l’emozione suscitata dalla disgraziata situazione di qualcuno.

Marcantoni imputa la mancanza di una legge che consenta suicidio e aiuti a compierlo alla posizione di una “potente parte del mondo cattolico, che non si accontenta di salvare le proprie anime, ma si arroga il diritto di salvare anche quelle altrui”. Qui Marcantoni sbaglia bersaglio: chi non legittima il suicidio e l’assistenza a compierlo non lo fa, come lui dice, per “salvare le anime altrui” (non sarebbe possibile neppure per il cattolico più ortodosso, perché la salvezza dell’anima dipende dalle proprie scelte personali), ma per evitare che l’introduzione del suicidio come pratica possibile per mettere fine a una vita nella sua fase di acuta sofferenza e senza speranza di guarigione di fatto spinga chi avverte di essere di peso agli altri o alla società a togliere il disturbo. Non so se Marcantoni e chi sostiene l’eutanasia abbiano mai visto il film Maranathà: per non essere di peso agli altri, in un villaggio di agricoltura povera, gli anziani erano pressati psicologicamente ad andare a morire in montagna, dipinta come una sorta di “paradiso” (in realtà un cimitero di scheletri all’aperto) non appena perdevano i denti, e poiché l’anziana protagonista non perdeva i denti, che restavano sani, per non essere di peso alla sua famiglia, se li spaccava con una pietra, per andare poi sulla montagna a lasciarsi morire. La sacertà assoluta della vita di ciascuno, dall’inizio nel grembo materno alla fine naturale, è l’unica garanzia etica e pratica che nessuno possa manipolarla, farla morire. Non si tratta di dogmi, come dice Marcantoni, ma di garanzia massima di solidarietà a chi si trova in situazione difficile. E’ stato così per chi era contrario a consentire con assistenza pubblica di uccidere nel proprio grembo di madre un figlio non voluto ed è così per chi è contrario all’eutanasia, anche se richiesta dal soggetto sulla quale si applica, potendo trattarsi di quello che Durkheim chiama “suicidio altruistico”. Nel caso dell’aborto la collettività italiana ha scelto di preferire la volontà della madre alla tutela della vita del figlio, verso il quale non si nutre pietà alcuna (anzi, come in Francia recentemente, si condanna penalmente per legge chi le ragioni di tale pietà le manifesta in modo chiaro). Nel caso dell’eutanasia finora la collettività italiana ha preferito la solidarietà delle cure palliative, dell’assistenza piena fino alla morte naturale, alla legittimazione del suicidio su richiesta, alla cui radice ci può essere mancanza di solidarietà, mancanza di assistenza anche a chi è senza speranza, mancanza di adeguate cure palliative e di sostegno psicologico.

Spero che non si ripeta, come tanti fanno, che l’Italia è “arretrata” per queste ragioni; una società individualista, egoista e materialista, eticamente relativista per cui non si può più dire ciò che è bene e ciò che è male non è un progresso per l’umanità. Non siamo così succubi di quanto altri popoli, più individualisti, più relativisti, con minore rispetto sacro della vita umana, hanno fatto. E nel caso svizzero, come spesso, lo fanno anche per fare “affari”!

Sessualità e insegnamento della Chiesa Cattolica: episodi trentini

di il 19 Febbraio 2017 in famiglia, religione con Nessun commento

Su l’ultimo numero di Vita Trentina del 12/2, rubrica Dialogo aperto, due lettere che auspicano cambiamenti nelle posizioni della Chiesa, una di Donata Borgonovo Re, che desidera per la donna ruoli sacerdotali, sull’esempio della chiesa luterana, (commentando una precedente lettera di Luisa Vian), e una di Silvano Bert, che veglia sul magistero del Papa e dei vescovi, ancora troppo timido in materia di aborto e omosessualità. Fa quasi da contrappeso una lettera di Luciano Decarli, che ricorda, a pochi giorni dalla scomparsa, un missionario maschio, padre Efrem Trettel, impegnato nell’annuncio con mezzi moderni del Vangelo più che nel proporre revisioni dottrinali.

Sul sacerdozio alle donne mi consta che ci siano state pronunce papali sul suo fondamento nelle scelte di Cristo. Sbagliato? Sbagliato, secondo Bert, ha certamente Papa Paolo VI ad emanare l’enciclica Humanae Vitae e hanno sbagliato i vescovi italiani a pronunciarsi a suo tempo contro la legge che legalizza e sostiene con risorse pubbliche l’aborto volontario. L’esempio per il sacerdozio femminile e per l’atteggiamento da prendere sulla legge sull’aborto è sempre quello delle chiese protestanti. Dobbiamo pur essere per l’ecumenismo! Dopo tutto, per Bert, la legge italiana sull’aborto andava approvata in quanto realizzava un “male minore”, ossia la riduzione della clandestinità degli aborti. Ma osservo: se avvengono clandestinamente furti, rapine, omicidi e il perseguirli provoca pericoli e danni per la vita di chi li fa e degli addetti all’ordine pubblico, bisogna perciò legalizzarli? Come si fa a dire che l’uccisione di un essere umano nel grembo materno è un “male minore”? Rispetto a quali altri “mali maggiori” inevitabili? Per Bert ci sono ancora malati di ideologia, come il Movimento per la Vita, che in occasione della |Giornata per la Vita, condannano in un manifesto la legge 194 sull’aborto, ma, buon segno,Vita Trentina non ne ha dato conto. I vescovi italiani nel loro messaggio hanno condannato come espressione di ideologia il voler superare la complementarietà di uomo e donna; non si tratta certo di ideologia per Bert, ma i vescovi a tale ideologia almeno non hanno dato il nome di “ideologia gender”. Comunque lottare per il riconoscimento della complementarietà uomo-donna va contro l’aspirazione alla parità delle donne, come affermato da una teologa, Selene Zorzi, ella sì, più dei vescovi, sulla giusta strada.

Bert è intervenuto anche all’incontro che la Diocesi (Ufficio che si occupa della famiglia) ha organizzato, giovedì 9, all’oratorio del Duomo per la presentazione dell’esortazione di Papa Bergoglio “Amoris laetitia”. Non ha mancato di far rilevare il ritardo anche di questo Papa nel trattare l’omosessualità, considerata solo “di striscio”. Non mi ha meravigliato l’intervento di Bert, quanto quello del relatore (in tandem con la moglie) Luigi De Palo, presidente del Forum delle Associazioni Familiari. Sollecitato nel dibattito da alcuni interventi dalla sala, ha preso posizione netta contro coloro, definiti più volte anche nella relazione, “cinture nere” del catechismo, che annunciano e difendono i principi della morale familiare e attinente alla vita umana. La loro sarebbe solo “ideologia”, che rende difficili i rapporti con chi quella morale non condivide. E ha giustificato così il fatto che il Forum delle Associazioni familiari che presiede non abbia aderito al Family Day di circa un anno fa. Il sacerdote responsabile dell’Ufficio nazionale per la famiglia della Conferenza Episcopale Italiana don Paolo Gentili, non è stato molto da meno; ha posto sì un argine di principio, la contrarietà alla pratica dell’utero in affitto, ma nulla ha detto sulla pratica dell’omosessualità, lasciando capire che sulle convivenze more uxorio tra omosessuali era opportuno tacere, in nome del rispetto e dell’accoglienza.

Quanto accade è conferma del fatto che in nome del rispetto e dell’accoglienza si è disposti a non pronunciare più le parole di verità che derivano dalle |Scritture, dalla Tradizione, dal compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, considerandolo “ideologico”. Questo di fatto, però, solo se quelle verità concernono la sessualità, la famiglia, il rispetto della vita al suo inizio e alla sua fine, ossia proprio nei campi nei quali maggiore è la distanza tra messaggio cristiano e mentalità dominante nelle società secolarizzate e benestanti. Viene rifiutato l’annuncio di Cristo che prefigura ostracismi e persecuzioni a chi lo segue. Si può certo seguirlo, si può certo annunciare con vigore verità, ma solo se ciò non urta troppo “il mondo”. Non si deve essere “ideologici”!

Osservazioni su un’intervista sulla comunione ai divorziati al card. Coccopalmerio

di il 19 Febbraio 2017 in famiglia, religione con Nessun commento

Di particolare interesse l’intervista su “in Terris” al card. Coccopalmerio, che spiega le ragioni che portano a ritenere degni di accostarsi e ricevere la Comunione coloro che, divorziati, conviventi con divorziati, conviventi senza mai essere stati sposati, sposati civilmente, non frequentanti la messa domenicale, vorrebbero correggere la loro situazione secondo quanto chiesto da Cristo, dalla Tradizione, dalla Scrittura e dal Magistero così come codificato ad es. da ultimo nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ma per le abitudini contratte, per le situazioni sedimentate nel tempo, per giudicare essi non valida una norma morale della Chiesa, non riescono a ( o non ritengono giusto di) modificare i loro comportamenti.

Il nodo sta proprio in questo “non riuscire a modificare” i propri comportamenti, benché riconosciuti sbagliati. Non si chiede più una conversione profonda, un deciso ravvedimento operoso, un forte “proposito” attendibile, un tempo elemento necessario per una valida assoluzione dei peccati. Chi dice che non si possano cambiare abitudini, situazioni consolidate, convinzioni errate o che si possono cambiare solo un po’? E se è difficile, non è impossibile. A mio avviso è da riflettere sul fatto che l’esimente dell’abitudine, della consolidata situazione, della convinzione che insegnamenti morali della Chiesa siano erronei è applicata al campo delle relazioni sessuali, nelle modalità che vedono in alcune parti del mondo più distanza da quanto la Chiesa ha insegnato fino a ieri (si va dalla masturbazione ai rapporti sessuali pre-matrimoniali, dalla convivenza pre-matrimoniale a quella con già sposati) ed ora, leggo, anche al campo del precetto della messa festiva. Tale esimente non viene applicata per comportamenti che la cultura dominante condanna: si pensi al furto, alla violenza, alla corruzione, all’evasione fiscale, alla contraddizione di ecclesiastici tra chiamata alla povertà e vita troppo agiata, alla pedofilia, al rifiuto dello straniero (e si potrebbe continuare). Come mai questa disparità? Eppure ci sono abitudini a rubare, a essere violenti, ad aggirare con corruzione le norme, ad evadere le imposte, a sentirsi invaghiti sessualmente di un ragazzino o di una ragazzina, praticando approcci sessuali, a sentire distanza sociale verso gli stranieri, ecc. Pur esse non sono facili da correggere, ma non mi sembra che l’insegnamento di Papa e vescovi, oggi, ritenga che tutto sommato nel giudicare occorre tener conto delle difficoltà a correggersi. Anzi, il giudizio è rimasto duro, senza appello.

Allora a mio avviso la differenza di trattamento sta nella sensibilità (di chi discrimina tra abitudini da considerare con qualche indulgenza e altre da condannare con durezza) alle tendenze al permissivismo etico nelle nostre società secolarizzate, permissivismo largo e in crescita nel settore della sessualità e della vita umana ai suoi confini e invece trasformato in intransigenza (almeno nelle dichiarazioni) a quanto può essere definito “etica civica”. Tale diversità di sensibilità etica nelle società in cui viviamo è documentata dalle più serie indagini sociologiche in materia, e in particolare dalla serie di indagini dell’European Values Study. E’ giusto per le autorità della Chiesa Cattolica adattare l’etica a sensibilità non cristiane o cristiane secolarizzate e relativiste? Se responsabili della conduzione della Chiesa Cattolica lo ritengono, per una sorta di realismo che vuole evitare contrapposizioni, lo dovrebbero dire. Il dire, invece, che la dottrina resta la medesima, che i principi morali non cambiano, tacendo che per alcuni si applica indulgenza in nome delle abitudini e per altri si accentuano dichiarazioni di condanna, sembra ispirato a quello che nel gergo comune si definiva stile “gesuitico”, ossia un mascherare con parole un cambiamento vero: una adattamento dell’insegnamento morale alla sensibilità del tempo, in società secolarizzate e relativiste.

Chiude a Primiero il convento dei Cappuccini; si perde un pezzo di identità, ma autorità civili e religiose hanno fatto il possibile?

di il 11 Febbraio 2017 in COMMERCIO, comunità, religione con Nessun commento

Con domenica prossima 12 febbraio i frati cappuccini di Primiero salutano i fedeli e lasciano il convento, dopo circa novanta anni di presenza. Lo fanno per decisione, annunciata con una bella lettera, del responsabile della provincia veneta padre (ora fra) Roberto Genoin (alla quale quella trentina è stato aggregata), in difficoltà a mantenere aperti i conventi per la diminuzione di persone che scelgono di essere religiosi della famiglia cappuccina, parte di quella francescana. Si sono già presentate positivamente sulla stampa le suore clarisse cappuccine di Fabriano, che da tempo volevano lasciare Fabriano e che, tra le varie possibilità di scelta, in Trentino e altrove, hanno chiesto insediarsi a Primiero, certamente una località più attrattiva di altre offerte. I danni subiti dal loro convento per i recenti terremoti in Italia centrale hanno indotto ad accelerare di alcuni mesi il trasferimento.
Per alcune generazioni di primierotti la presenza dei cappuccini era ed è significativa. Portando il solo caso personale, lo è stata per mio padre, che accompagnava regolarmente i fratelli cappuccini nella questua per raccogliere, di inverno, su slittoni, legna da ardere e letame per l’orto; lo è stata per me, chierichetto dalla seconda elementare fino ai 15 anni (con il record, d’estate, di 13 messe consecutive di preti e frati ospiti, servite in una mattina, con pausa colazione, a partire dalle 5.30, quando ancora non c’era la concelebrazione) e accompagnatore-facchino per la questua di granoturco da polenta e di fagioli e da molti anni ora lettore alla messa domenicale. Ma tale presenza è stata significativa per tutta la comunità, trovandosi tra l’altro il convento, con la chiesa dedicata a San Antonio da Padova, all’intersezione centrale tra i comuni di Tonadico, Transacqua e Fiera, centro del nuovo comune unificato, in prossimità della sede della Comunità. Si può ricordare come due delle figure dipinte sulla facciata della chiesa della Madonna dell’Aiuto, in centro a Fiera, sono due frati cappuccini del convento, fra Simone, figura storica della presenza cappuccina, e padre Cornelio, figura aristocratica di asceta, intellettuale anche nei suoi sermoni. Ma i frati avevano un ruolo esteso a tutta la valle soprattutto in occasione delle annuali confessioni pasquali: lunghe file di uomini al confessionale, perché i frati si diceva fossero “ più larghi de manega” e soprattutto perché gli uomini non volevano confessare i peccati al loro parroco. Ma la presenza di primierotti era grande anche per le indulgenze del “Perdon di Assisi”. Sempre poi affollatissime le messe nei mesi estivi, e anche negli altri il sabato sera e la domenica alle 11, con presenze nel coro e dietro l’altare. Pure il Movimento dei Focolari ha una delle sue radici nella chiesa dei cappuccini.
Come la stampa ha dato notizia, sono state raccolte circa 1600 firme di fedeli (anche via internet, con l’aiuto del figlio Daniele),per indurre i responsabili a non chiudere il convento , oltre che per ringraziare i cappuccini della loro lunga presenza e queste sono state personalmente portate da Bruno Simion, già sindaco di Fiera, e da me al padre provinciale a Mestre. Non siamo riusciti a far cambiare decisione. Dal colloquio avuto, cordiale ma franco, con il padre provinciale ci è stata illustrata la difficile situazione nella quale versano le presenze cappuccine in Trentino. Abbiamo avuto l’impressione che in altri casi (vedi Terzolas) si siano mosse anche le autorità locali per far riaprire con successo una presenza. Non risultano che lo abbiano fatto le autorità locali, né civili né religiose, di Primiero; queste ultime, anzi, avrebbero garantito il servizio religioso alla comunità di suore, su impegno anche del vescovo, forse per evitare che venissero a mancare anche le suore. Ma se si fosse scoraggiato l’insediamento delle suore, inducendole a sceglierne un altro, magari già vuoto, si ,sarebbe ugualmente chiuso il convento di Primiero, dove ci sono due padri validissimi, non anziani, anzi uno molto giovane? . Non occorre essere sociologi per capire come nel prendere decisioni, che in questo caso spettano ovviamente in piena autonomia ai responsabili dell’ordine religioso, si tenga conto di una pluralità di elementi. Tra questi nel caso di Primiero, è mancata la presenza attiva delle autorità locali. Queste di solito si mobilitano se chiude o si trasferisce un’impresa significativa o qualche servizio alla popolazione; viene il dubbio che la chiusura di un convento sia ritenuta invecedalle autorità civili non importante per una comunità, che pur nella quasi totalità è di religione cattolica. E non si tratta di una sorta di rispetto della laicità dell’amministrazione: il sindaco è esemplarmente presente ed interviene positivamente in occasione di manifestazioni religiose. Spero che almeno alla messa di addio di domenica prossima il sindaco ci sia e possa quanto meno testimoniare la riconoscenza per i molti decenni di presenza cappuccina a Primiero: non lasci questo compito solo alla lettera sottoscritta dai circa 1600 cittadini (di Primiero e alcune anche di ospiti), né pensi di non farlo perché l’iniziativa della raccolta di firme ha visto come protagonista un consigliere di opposizione, Paolo Simion..

APPENDICE: COMMENTO A RISPOSTA PICCATA DEL SINDACO DI PRIMIERO S.M.C. Daniele Depaoli pubblicata su l’Adige:
Leggo con piacere, in cronaca di Primiero del 9 febbraio, che, come dichiara il sindaco, l’amministrazione comunale di Primiero San Martino di Castrozza, e gli altri sindaci della valle parteciperanno alla messa delle 11 di domenica prossima, nella chiesa dei Cappuccini, per ringraziare della presenza cappuccina che, dopo una novantina d’anni, si chiude. Verrà offerto persino un pranzo. Mi ha invece negativamente sorpreso l’accusa che il sindaco mi fa di aver voluto strumentalizzare politicamente e demagogicamente la chiusura del convento, ritenendo egli di non dover accettare consigli da nessuno sul cosa fare. Frequentando sempre la chiesa dei cappuccini e parlando con alcuni fedeli, ho rilevato che nessuno aveva presente che il sindaco si fosse attivato per evitare la chiusura del convento, e anzi, qualcuno, mi invitava a fare qualcosa, percependo erratamente un ex-parlamentare, ex già da 11 anni, ancora come uno avente influenza. Ciò che si è saputo pubblicamente è che il sindaco avrebbe risposto a una interrogazione del consigliere di minoranza Simion, senza recepire la sollecitazione ad attivarsi. Poi più niente. Non mi pare neppure che vi sia stato qualche sostegno da parte del sindaco o degli amministratori alla raccolta di firme. Mi sorprende, anche, che il sindaco abbia rinunciato a pressioni dopo che gli è stato detto che la decisione da parte del Provinciale era già stata presa; come ogni persona che si occupa di decisioni, sa che queste possono essere cambiate; è successo e succede, se vi sono pressioni adeguate e ragionevoli. Può anche succedere che si torni sui propri passi. E per sapere se ciò si possa ottenere, non lo si può certo chiedere a chi una decisione l’ha appena presa! Voglio, infine, rassicurare il sindaco che non ho alcuna intenzione di strumentalizzare politicamente una vicenda; se lo si volesse fare, esisterebbero molti altri importanti motivi per farlo, da inadempienze agli impegni presi nello Statuto alle difficoltà di organizzare l’unificazione, per non parlare di problemi gravi aperti di tipo economico e infrastrutturale. Rispetto le difficoltà di un avviamento stentato. Anche se la percezione diffusa tra la gente che il Comune non ha esercitato pressione per ottenere la permanenza dei cappuccini (della quale mi sono fatto portavoce) fosse sbagliata, anziché irritarsi e dichiarare di non tollerare critiche sarebbe stato meglio ringraziare chi ha promosso la raccolta di firme e le ha portate a Mestre: quanto meno ha reso più caldo e popolare il ringraziamento ai cappuccini.

san Giuseppe Freinademetz: con Demarchi e ladini di Badia (1988) alla ricerca in Cina della sua tomba, distrutta

di il 11 Febbraio 2017 in COMMERCIO, religione con Nessun commento

La notizia pubblicata sul Trentino (cronaca dalla val di Fassa) del 3 febbraio, che il prossimo 7 febbraio a Pera vi sarà una celebrazione in ricordo di San Giuseppe Freinademetz, ladino della Badia, missionario verbita in Cina, venerando con l’occasione una reliquia del santo proveniente dalla sua arca sepolcrale, reliquia donata da mons. Bressan, mi sollecita a scrivere di un episodio di quasi trent’anni fa, superando la ritrosia.

La notizia mi riporta alla memoria un viaggio in Cina (con mia moglie, nonostante i tanti figli) organizzato dal prof. don Franco Demarchi, cui partecipava anche un gruppo di badioti, accompagnati da un sacerdote ladino, che volevano portare nella chiesa che fu di Freinademetz un presepio e visitare la sua tomba, nell’ottantesimo della sua morte (era il 1988). Visitammo la chiesa (allora frequentata da poche vecchiette, qualcuna con i piedi piccoli come da tradizione cinese della fasciatura stretta, per rendere leggiadro l’incedere femminile), i badioti lasciarono a una specie di sacrestana il presepe (opera artistica dell’artigianato della Badia), si parlò con un paio di donne molto anziane che ricordavano la presenza del missionario ladino. Il problema nacque quando don Demarchi, in modo non previsto dal programma della visita (l’organizzazione era stata predisposta da un’agenzia su incarico dell’ente che pubblicava la rivista, ricca di belle fotografie della Cina, “La Cina Illustrata”, della quale don Demarchi era grande diffusore in Italia), chiese di poter andare sul luogo dove era stato sepolto padre Freinademetz. Distava molti chilometri, le strade per raggiungerlo erano strette e tortuose, in mezzo a colline. Garantendo il pagamento di un supplemento agli organizzatori e un’adeguata mancia agli autisti (un paio di pullman), dopo molte insistenze, tenuto conto della figura di Demarchi, molto apprezzata dai cinesi (non solo per la diffusione della rivista, ma anche per l’ospitalità estiva organizzata da anni in Italia per studenti cinesi) e del fatto che molti dei partecipanti erano venuti apposta dalla Val Badia, venne concessa l’aggiunta fuori programma, tra l’entusiasmo dei partecipanti. Dopo un viaggio non facile e non breve (forse un’oretta), si giunse sul luogo, quasi in cima a una collina. Era recintato e l’accesso era chiuso da robusti cancelli di ferro. Non si scorgeva in prossimità edificio alcuno, se non un piccolo scorcio di una costruzione alta. Vennero degli addetti e dissero che non si poteva entrare. Vi furono insistenze da parte di Demarchi e del sacerdote ladino, ma i custodi furono irremovibili, anche dopo una verifica compiuta con i responsabili del luogo. Don Demarchi, che conosceva le debolezze umane, cominciò ad estrarre dal suo portafoglio un pacchetto di banconote rosse (da 100 remimbi, il taglio massimo), offrendole come mancia, ma niente da fare. Raddoppiò e poi triplicò il pacchetto (una bella somma) e alla fine concessero a lui e al sacerdote ladino (solo a loro) di entrare nel luogo dove c’era un tempo un convento dei verbiti e il cimitero dei padri. Tornarono dopo un po’ molto delusi: avevano solo visto il luogo dove c’era il cimitero, distrutto dalla “guardie rosse” maoiste; non c’era segno alcuno di tombe; al posto del convento c’era un ospedale psichiatrico ( e c’è da giurare che non fosse ispirato alle teorie di Basaglia!). Almeno però avevano visto il luogo ed era per loro già qualcosa.

Sono rimasto quindi piacevolmente sorpreso del fatto che il nostro vescovo emerito, studioso della Cina e tra i principali sostenitori, anche come Diocesi, del Centro Martino Martini di Trento, sia venuto in possesso di una reliquia della tomba. Sarebbe interessante conoscerne la storia, forse legata all’amore dei cristiani della parrocchia del Freinademetz verso il loro missionario, molto amato; che siano intervenuti all’epoca della distruzione delle “guardie rosse” per conservare almeno qualcosa che era stata in contatto con il santo? E chi poi, e quando, ne ha fatto dono a mons. Bressan? Forse in occasione della santificazione? Nella chiesa a lui dedicata in Badia c’è la foto della tomba. Chi l’ha data ai badioti? La congregazione dei Verbiti? Curiosità che appagherebbero un po’ i “pellegrini” in Cina del 1988!

Papa Bergoglio e giornata della pace: per essere buon cristiano solo la strategia della non violenza?

di il 17 Gennaio 2017 in pace, religione con Nessun commento

Su Vita Trentina del 18 dicembre u.s. sono riportati il testo del messaggio di Papa Bergoglio per la Giornata Mondiale per la Pace e sei commenti, tutti molto favorevoli, compreso quello di una esponente del mondo islamico. Il cuore del messaggio pontificio è centrato sull’efficacia della non violenza come mezzo per la pace. Si citano esempi storici quali quello di Gandhi e Martin Luther King. Solo tale mezzo, per il Papa, è pienamente coerente con l’insegnamento di Gesù di Nazareth, che nel discorso del Monte delle Beatitudini annuncia e vero e proprio “manuale” per tale strategia.

Il messaggio mi ha fatto pensare ai miei dieci anni trascorsi (anche con qualche responsabilità) nella Commissione Difesa del Senato, dove la preoccupazione maggiore era (e penso sia tuttora) quella di avere Forze Armate efficienti. Due gli obiettivi “politici” principali: garantire efficacia nella difesa dell’Italia, dell’Europa, dell’Occidente in caso di aggressioni e garantire efficacia nelle operazioni militari per la creazione, il rafforzamento e il mantenimento della pace in situazioni di grave conflitto. L’efficacia deriva in proporzioni diverse da caso a caso da azioni militari e azioni civili (pur se in un contesto militare) di promozione di condizioni di pace, con la garanzia della protezione militare. L’efficacia dell’azione militare contempla l’uso attuale o potenziale della violenza delle armi, esattamente l’opposto di quanto sostengono coloro che si ispirano alla strategia della non violenza.

Cosa deve pensare il cristiano che si impegna per una maggior efficacia della forza militare per un uso giusto della violenza? Ragionevole dire che non si può parlare di “guerra giusta”, neppure di difesa da aggressioni, quando si usano armi come quelle nucleari: il danno sarebbe maggiore del bene ottenuto difendendo una ragione giusta. Non sembra ragionevole ritenere che per ottenere la pace l’unica strategia veramente coerente con l’etica cristiana sia l’uso della non violenza. L’escludere l’uso della violenza per fermare aggressioni esterne o interne può, al contrario, incentivare le aggressioni stesse. Anziché un fattore di pace, diventa un fattore di disordine anarchico dove prevalgono i più forti, i più armati, coloro che hanno come fini il dominio di persone e popoli.

Se i cristiani dovessero abbracciare il metodo della non violenza per essere coerenti con la propria fede e la propria etica, quelli che operano nelle Forze Armate o quelli che, in circostanze di oppressione dittatoriale sanguinaria, usano armi violente per cambiare la situazione, dovrebbero sentirsi in colpa, incoerenti. Eppure la Chiesa ha prestato e presta assistenza a chi è impegnato nelle Forze Armate e non ho mai sentito cappellani o ordinari militari dire che l’unica scelta coerente per un cristiano è quella della non violenza.

Operare per la pace è giusto e necessario, e a questo serve il richiamo della Giornata Mondiale per la Pace. Dire che l’unico modo coerente con la fede e la morale cristiana è l’uso della strategia della non violenza mi pare sbagliato. C’è chi serve la pace e i diritti dell’uomo da militare, prevedendo se necessario l’uso delle armi (ossia usando una strategia della violenza a difesa dai violenti). Ancora una volta l’integralismo fa capolino: dedurre da norme di comportamento tra individui (il porgere l’altra guancia) norme etiche di comportamento tra società.

Prelati di CEI e Vaticano condannano senza pietà il domenicano Cavalcoli che parla di “castighi di Dio”: chi sbaglia?

di il 16 Dicembre 2016 in religione con Nessun commento

Il segretario della Conferenza Episcopale Italiana, mons. Galantino e il sostituto della Segreteria di Stato del Vaticano mons.Becciu hanno usato parole durissime di condanna di dichiarazioni rese da padre Giovanni Cavalcoli, domenicano, in una trasmissione di Radio Maria, che ipotizzavano come il terremoto possa essere stato un “castigo di Dio” per l’introduzione in Italia del “matrimonio gay”. Sarebbero state per detti prelati dichiarazioni blasfeme e in netto contrasto con il messaggio di Dio misericordioso che Papa Bergoglio ha voluto per l’anno giubilare. Come se la misericordia di Dio eliminasse ogni possibilità di Suo castigo. Sodoma e Gomorra insegnano.

A parte la coerenza di chi in nome della misericordia aggredisce un confratello nella fede, che a loro avviso avrebbe molto “sbagliato”, fino ad essere accusato di bestemmia (ricorda tanto il sommo sacerdote nel processo a Gesù, che si stracciò le vesti), il caso solleva questioni rilevanti per la fede. Fino a che punto Dio interviene nella storia naturale e umana? La scienza ha fatto progressi importanti nell’offrire spiegazioni di fenomeni naturali, sociali e umani e la tecnologia ha progredito molto per controllarli. Ciò ha fatto retrocedere l’attendibilità di spiegazioni religiose, soprannaturali, legando religione a superstizione e mito. Si è così parlato di “demitizzazione” della religione, di sua “purificazione” quando non di un suo superamento in nome della ragione e della scienza.

Eppure le Sacre Scritture contengono molti esempi di interventi di Dio nella natura e nella storia, sia come castigo che come premio. Tra i castighi i più noti sono quelli del diluvio universale (dal quale per grazia divina si salvò Noè), le piaghe d’Egitto e l’annegamento dell’esercito del faraone nel Mar Rosso. Tra i premi la traversata del Mar Rosso all’asciutto da parte di Israele, le vittorie in guerre condotte dal popolo d’Israele e in epoca cristiana i molti miracoli, qualche vittoria militare a difesa della cristianità e i voti comunitari diffusi per scampati pericoli di pestilenze, epidemie, guerre, ecc.. Ma non si tratta solo di fatti del passato “pre-scientifico”; ancor oggi vengono celebrate le rogazioni per ottenere la pioggia in caso di prolungata siccità, si fa pregare perché non scoppi una guerra (e non solo nelle tradizionali litanie), si riconoscono miracoli, prova di santità. Nel Vangelo si riferisce di parole di Gesù che avrebbe promesso che “qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome Egli ve la darà”.

Convivono nella Chiesa moderna visioni “laiche” della natura, della società, dell’uomo, riservando al religioso solo la risposta di fede al senso ultimo della vita e del mondo, e visioni “provvidenziali” che vedono l’azione di Dio elemento essenziale della realtà e delle sue vicende. Preghiere e riti (specie i sacramenti) presuppongono la possibilità – certezza dell’intervento diretto di Dio quanto meno nella vita personale e nella società (la Chiesa), mentre per altro verso la secolarizzazione (che ha percorso anche i cristiani) spinge la rilevanza di Dio ai confini dell’esistenza, ritenendo arretratezza ogni credenza di un suo intervento diretto nella natura, nella società e nell’uomo. Da una parte la Chiesa dà un giudizio di autenticità sulle apparizioni di Fatima e sui suoi messaggi su guerra e conversione della Russia, valorizza esperienze mistiche di dialogo intenso con Dio, parla di miracoli attendibili e dall’altro si scandalizza se un prete-teologo interpreta come castigo divino un terremoto. Non sarebbe meglio mantenere l’instabile composizione tra ragione e fede che caratterizza l’esperienza dei cristiani, senza condanne per chi ne accentua una o l’altra? In fondo il dubbio è più “laico” della condanna razionalista e risponde meglio alla condizione che ci è dato di vivere.

Con la rivelazione del Padre da parte di Cristo è blasfemo e pagano parlare di “castighi di Dio”?

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su Vita Trentina del 20 novembre, nella rubrica Dialogo aperto suor Chiara Curzel e Lucia Girardi riprendono la questione sollevata dal padre domenicano a Radio Maria sui castighi di Dio, criticando nella sostanza, senza citarli, quanti (tra i quali io stesso) avevano espresso perplessità su dichiarazioni di prelati vaticani e della CEI di netta condanna del domenicano per blasfemia o per paganesimo.

Per suor Chiara Curzel non ci si può fermarse all’Antico Testamento, alla sua concezione di Dio, in quanto solo con Cristo la rivelazione di chi è Dio è compiuta; inoltre non si può fare affidamento sulla “lettera” di quanto è scritto nella Bibbia, perché è la Tradizione della Chiesa a dare la giusta interpretazione. Le argomentazioni di Lucia Girardi, pur con approccio diverso, meno dottrinale, sono le medesime.

La posizione di suor Chiara Curzel è certamente ortodossa e, per un cristiano, convincente. Lascia però aperti alcuni punti:
1. ammesso che Dio sia solo “misericordia” e non infligga castighi collettivi, può la Chiesa non essere misericordiosa con chi ricorda il Dio castigatore? Che misericordia hanno usato i monsignori che hanno accusato di blasfemia e di paganesimo il domenicano? E si tratta di monsignori “importanti” nella Chiesa.
2. Se la rivelazione si è compiuta con Cristo, è certo che Cristo non abbia mai parlato di castighi divini? Non mi pare. Ha parlato di amore e di misericordia, ma non solo. Citare solo le “parole” di misericordia non cade proprio nell’errore di “isolare parole” che viene imputato a chi ricorda che Dio è giudice e può castigare?
3. Se le “parole” della Bibbia vanno interpretate non letteralmente, ma in base alla Tradizione della Chiesa, possiamo dire che la Tradizione ha dato sempre la medesima interpretazione delle “parole”? Non mi pare. Si pensi a come la Chiesa Cattolica ha giudicato le posizioni di Lutero: dalla condanna dottrinale alla celebrazione per il contributo dato alla riforma della Chiesa. Possiamo dire che l’interpretazione più vera data dalla Chiesa (popolo e magistero) sia necessariamente l’ultima? Mi sembra rischioso sostenerlo: apre le porte a visioni evoluzioniste, mentre la Tradizione ha un patrimonio di verità (da trasmettere) che ha già ricevuto intero da Gesù di Nazareth e dai suoi apostoli. La Rivelazione si è compiuta.
I
n definitiva mi sembra che sia preferibile per chi ricopre posizioni di autorità nella Chiesa essere più magnanimo nei confronti di chi esprime sensibilità diverse, convinzioni diverse in materie non definite dal Credo degli Apostoli, dai pronunciamenti dogmatici e di morale ex-catedra del Papa e dei Concili ecumenici in unione col Papa. Quando erano Pontefici Papa Voityla e Papa Ratzinger non erano pochi coloro che rivendicavano libertà di valutazione (da cristiani “adulti”); ora molti di essi negano tale libertà rispetto alle dichiarazioni di Papa Bergoglio (salvo ignorarle quando dice qualcosa che non aggrada, come in merito all’ideologia “gender”). Doppia morale?

Avvenire e Vita Trentina su referendum costituzionale: mancano riferimenti a dottrina sociale cristiana

Lettera al Direttore di Vita Trentina Diego Andreatta.
Quando uscirà il prossimo numero di Vita Trentina l’esito del referendum costituzionale sarà già stato acquisito e commentato. Il suo editoriale sul numero del 4 dicembre, così come la linea in merito seguita da Avvenire, mi ha sollecitato una riflessione. Nonostante che l’Adige del 2 dicembre legga nel suo editoriale un implicito invito a votare SI’ (sinceramente non l’ho colto, neppure nei riferimenti agli effetti del voto sul contesto europeo), l’atteggiamento suo e di Avvenire, come il richiamo del Segretario della Conferenza Episcopale Italiana a badare con razionalità ai contenuti, mi sono apparsi “neutrali”, al di là delle convinzioni personali. Ciò che mi ha sorpreso è, però, che nella valutazione dei contenuti della legge costituzionale non si sia fatto riferimento ai principi, ai valori, proclamati dalla dottrina sociale della Chiesa, anche quella degli anni dopo il Concilio Vaticano II. A mio avviso due principi guida del pensiero sociale cristiano erano chiaramente rilevanti nelle valutazioni da dare, quello di una democrazia partecipativa e quello della sussidiarietà verticale. Non che manchino, nel suo riferire delle diverse posizioni, a favore o contro, citazioni della democrazia partecipativa e (indirettamente, parlando di centralismo e regioni) del principio di sussidiarietà, ma è mancato l’esplicito invito ai cristiani di valutare i contenuti della legge costituzionale a partire dalla coerenza con la dottrina sociale cristiana. Il togliere competenze alle regioni per concentrarle nello Stato, il potere dello Stato di intervenire sulle residue competenze regionali, semplicemente “dichiarando” l’interesse nazionale, sono misure coerenti con il principio di sussidiarietà? A me non pare, ma doveva essere questo il punto di partenza per una valutazione da parte dei cristiani. E’ sufficiente aver creato un Senato con rappresentanze di Consigli regionali e Comuni per far dire che nel complesso il bilancio in termini di rispetto della sussidiarietà è positivo, se si tiene conto delle competenze assai ridotte affidate al Senato e poco connesse con i problemi da affrontare in sede regionale?

Simile il problema per quanto concerne il principio di democrazia partecipativa. Di fronte alla crisi della funzione della rappresentanza parlamentare, sempre più soggiogata alle decisioni dell’Esecutivo, va in direzione del valorizzare la democrazia partecipativa l’aumentare il potere del Governo di dettare l’ordine del giorno del Parlamento, non più solo con decreti legge per i quali non esistono i presupposti, non più solo con l’uso di leggi delegate estremamente generiche, non più solo con l’uso di maxi-emendamenti sui quali porre la fiducia per stroncare ogni possibilità dei parlamentari di vedere discussi degli emendamenti, ma anche con il potere di dettare l’agenda parlamentare semplicemente dichiarando “importante” una legge? A me non pare. E’ sufficiente a compensare ciò la possibilità di indire forme consultive di referendum e garantire ai disegni di legge di iniziativa popolare di essere discusse (pur rendendo più difficile presentarli, essendo necessario il triplo di firme? A me pare di no. Anche ora le opposizioni hanno il diritto (per Regolamento parlamentare) di veder discussi propri disegni di legge, ma il tutto si traduce nel metterli all’ordine del giorno per poi rapidamente bocciarli. Sono parziale nel mio giudizio? Se ne discuta, ma a partire dal valore della democrazia partecipativa enunciato e fatto proprio dalla dottrina sociale cristiana. Poi in quanto laici cristiani ciascuno agirà come richiede giusto in coscienza, ma questa va “illuminata”, quanto meno richiamando i principi di etica sociale cristiana.

E’ bene che le diocesi si impegnino in corsi di dottrina sociale, è bene che tra i compiti della Consulta dei laici vi sia anche quello di valutare situazioni e iniziative politiche alla luce della dottrina sociale cristiana, ma se, di fronte a una sfida che divide, anche i cristiani, non si lavora per cercare valutazioni coerenti con il pensiero sociale cristiano, preferendo soluzioni che richiamano il comportamento di Ponzio Pilato, per evitare di scontentare una parte o l’altra, la portata dei corsi e delle poche riunioni della Consulta rimane sterile.

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