Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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etica pubblica

Diocesi di Trento: trasparenti le nomine degli insegnanti di religione?

di il 25 Agosto 2016 in etica pubblica, religione con Nessun commento

Non sono rari i richiami di autorità ecclesiali all’uso del potere in modo trasparente; similmente accade per evitare penalizzazioni alla donna a causa di maternità. Sono giusti ma si resta perplessi quando è la stessa amministrazione di una diocesi a contravvenire alle indicazioni etiche dell’autorità ecclesiale.
Avendo occasione di sentire ciò che accade nell’assegnazione dei posti di insegnanti di religione cattolica, mi pare che la logica delle raccomandazioni sia tutt’altro che bandita. Si è conclusa correttamente la vicenda del concorso, dopo varie incertezze e ricorsi alla magistratura. Vige, invece, una pratica talora poco trasparente nell’assegnazione di incarichi. Se si vuole che un’insegnante in posizione meno favorevole di graduatoria o in una graduatoria di ordine inferiore occupi un certo posto a scapito di una persona in posizione più favorevole, si trova il modo di farlo. Magari facendo predisporre un progetto didattico (mai prima preannunciato), che sottrae il posto alle graduatorie. Senza contare gli insegnanti che sono nominati a prescindere da graduatorie. Se un insegnante non piace, si trova il modo di fargli mutare scuola nominando un religioso o una religiosa in quel posto. Possibile che la Curia vescovile non sia esempio di trasparenza, pubblicando in anticipo l’elenco dei posti disponibili e seguendo l’ordine di graduatoria? Una cosa è poter dichiarare la non idoneità all’insegnamento della religione cattolica; un’altra agire in modo non trasparente, seguendo logiche di raccomandazione.
Cosa se ne può pensare se una dirigente scolastica da una valutazione critica di un’insegnante di religione solo perché ha fruito del congedo per maternità? Giusto qualificare l’insegnante come poco impegnata perché assente da scuola per maternità, e quindi senza la possibilità di organizzare iniziative extra-programma? E possibile che la Curia adduca poi tale valutazione a motivazione di scelte non secondo graduatoria?
Da parlamentare ho sperimentato come sia frequente a Roma l’uso della segnalazione, senza la quale le pratiche “dormono”; la buona amministrazione di stampo austro-ungarico in Trentino mi pareva meno soggetta a tale prassi. E’ troppo aspettarsi che anche nella diocesi di Trento sia migliore la pratica amministrativa curiale? Altrimenti i richiami alla correttezza di Papa Bergoglio e arcivescovi trentini sono minati nel loro significato per i comuni cristiani.

L’inferma politica trentina: mancano i leoni e le volpi non sono scaltre

Non è una bella stagione per la qualità della politica trentina, stando alle valutazioni che si rincorrono sui giornali locali. Non si sa disegnare il futuro sia dell’economia che dell’assetto istituzionale ed emergono le “magagne” dell’amministrazione “ordinaria”, stretta dalla contraddizione tra gli ideali di buona amministrazione orientata in termini universalistici al bene comune e le pratiche di appropriazione della “rendita politica” offerta dal ricoprire posizioni di potere.

Non sono problemi di oggi. Da quando per vantaggi di potere (accordo elettorale-politico con la SVP) chi governava il Trentino ha posto le basi per rendere il Trentino più solo, distruggendo la dimensione regionale, non è più chiaro come conciliare la persistenza della Regione, necessaria per la legittimazione della speciale autonomia trentina, con la razionalità dell’assetto istituzionale, che poco giustifica enti senza competenze di qualche rilievo. E così oggi si annaspa, mettendo in campo procedure per il “Terzo Statuto” senza prospettive chiare.

Anche per il futuro economico mancano prospettive di medio-lungo periodo: la locomotiva industriale su cui si basava il primo piano urbanistico di Kessler è da tempo ferma e se ne smontano i pezzi; altre attività come quella turistica segnano il passo e con esso l’artigianato e l’edilizia che vi sono connessi; il terziario pubblico deve fare i conti con risorse calanti; gli sforzi di creare imprenditorialità in settori del “terziario avanzato” interessano pochi. L’agricoltura vive la crisi del latte. Valorizzazione di produzioni locali hanno successo, ma restano pur sempre insufficienti a creare una base economica adeguata. Molta cooperazione, specie nel settore del consumo e del credito, soffre crisi economica e di ideali.

E’ sentimento diffuso che questo stato di cose sia il riflesso locale di una crisi generale, che attraversa molta parte della società occidentale, quella che non è all’avanguardia nei processi di innovazione: la fabbrica del mondo è in Cina e in altri paesi asiatici, mentre la capacità di innovare, creando vantaggi competitivi basati sul miglioramento delle conoscenze scientifiche e tecniche, è in ristrette aree dell’Occidente.

Ci si dovrebbe, allora, consolare, vantando la buona amministrazione: onestà, competenza, orientamento al bene comune. E invece anche in Trentino emergono usi del potere politico-amministrativo che testimoniano la permeabilità dell’agire amministrativo agli interessi privati, particolaristici, connessi a amicizie, parentele, clientele. Forse il grado di permeabilità è minore che ad altre latitudini o forse le tecniche di mascheramento di tali interferenze sono più efficaci, come ci insegnano i paesi ritenuti più “corretti”. Basta aver vissuto un po’ di esperienza politica per accorgersi, però, che ovunque la competizione politica porta con sé lotta per appropriarsi della “rendita politica” (contratti, incarichi, cariche in enti e società para-pubbliche, cariche di mero prestigio), la quale viene distribuita in cambio di consenso politico, già avuto (ricompensa) o sperato (caparra). Sociologia e scienza politica lo attestano. E ciò vale anche in qualche misura nei momenti rivoluzionari dei “leoni”, oltre che, con maggior forza, in quelli delle “volpi” come chiamava Pareto i due diversi tipi di leader.

Il Trentino non ha più leoni, ma anche le volpi sono insufficientemente scaltre nel mascherare le loro trame, facendole apparire “buona amministrazione”, onesta, competente, solo orientata al bene comune. Viene il dubbio che di leoni non ne nascano perché la secolarizzazione e il relativismo etico hanno sterilizzato ideali forti e che manchi anche la capacità di avere chiaro cosa sia onesto o disonesto, ciò che sia utile alla comunità tutta, e quale sia la modalità più efficace di realizzarlo.
La sfida da affrontare è quindi prima di tutto culturale, etica e scientifica.

Struttura culturale diocesana a Trento e scelta di una coordinatrice di un dibattito sull’utero in affitto assai “comprensiva”

i giornali locali del 9 marzo scorso hanno dato ampio spazio a un’iniziativa di Religion today, la programmazione del film-documentario “Mother India” presso il Polo Culturale Diocesano di via Endrici, con successivo dibattito. Non sono andato a vedere il film dopo che ho letto che la conduttrice del dibattito, la ricercatrice Lucia Galvagni, nell’intervista che ha dato ai giornali, ha rilasciato dichiarazioni vicine alle tesi dei sostenitori dell’”utero in affitto”. Laureata alla Cattolica di Milano, è ricercatrice alla Fondazione Kessler.

Mi chiedo se tra le finalità del nuovo Polo Culturale Diocesano vi sia quella di farsi megafono di tesi etiche che contrastano in modo netto con il pieno rispetto della vita umana, dei figli e delle donne. La ricercatrice afferma che, dopotutto, in India “la maternità surrogata è diffusa da sempre, ed è largamente accettata” e questo non può che farci constatare come su questo punto “le culture hanno punti di vista molto diversi”. Non ammesso e non concesso che la capacità indiana “da sempre” abbia saputo compiere pratiche di fecondazione artificiale necessarie alla pratica della maternità surrogata (altra cosa cedere un proprio figlio- magari adulterino- al padre o ad altra famiglia, come in passato poteva essere accaduto, peraltro in gran segreto e di nascosto, per lo più da parte di madri povere), sorprende che si adotti un criterio etico totalmente relativista; ho conosciuto in Africa culture che avevano praticato e praticavano sacrifici umani e in Asia sud-orientale che avevano praticato il cannibalismo (con capanne che avevano all’esterno la gabbia per il nemico da mangiare). Credo che, almeno in ambito diocesano, chi guida i dibattiti debba saper giudicare eticamente anche le culture.

Ancora, la ricercatrice afferma che, sebbene ci siano posizioni diverse in materia, “non sembrino emergere reali problemi” dal fatto che i bambini, con la pratica dell’utero in affitto, siano cresciuti in unioni di persone o famiglie diverse da quelle del padre e della madre: quello che conta sarebbero “le interazioni interpersonali”. E’ esattamente la posizione dei sostenitori dell’adozione di figli da parte di coppie o singoli che ricorrono all’utero in affitto. La ricercatrice non spende una parola per giustificare tale affermazione conclusiva e tace sulle molte risultanze di indagini scientifiche che provano il contrario. Per la ricercatrice invitata a guidare il dibattito al Polo Culturale Diocesano non risulta neppure chiaro, secondo la bioetica, che un bambino abbia diritto a conoscere chi sono i suoi genitori biologici. La fecondazione assistita, afferma, “e’ un modo per aiutare le famiglie, come i “modi alternativi per procreare dei figli e trasmettere la vita”.

Non mi meraviglia che una ricercatrice, anche se laureata alla Cattolica e iscritta a un centro costituito in un’università cattolica gesuita di Washington, sostenga posizioni come quelle enunciate: rientra nella sua libertà. Mi meraviglia che una persona con tali posizioni etiche e culturali sia incaricata di guidare un dibattito in un ambiente diocesano e nell’ambito di un’iniziativa culturale che dalla diocesi ha sempre avuto sostegno. E’ stato voluto o è stato un infortunio? In entrambi i casi ai comuni membri della comunità cristiana non resta che tristezza.

PS Il responsabile del Polo culturale diocesano su Vita Trentina rifiuta critiche

utero in affitto e solidarietà: ma per chi?

Sul penultimo numero di Vita Trentina padre Livio Passalacqua, nella sua rubrica, affronta il tema dell’”utero in affitto”. Chiara la sua valutazione negativa della mercificazione della donna connessa alla pratica dell’affitto dell’utero per avere un figlio. La sua lucidità mi pare persa, però, se alla base della “gestazione per altri” vi sono motivazioni non venali. Vi sono casi che, per padre Passalacqua, inducono sentimenti di umana comprensione, che lo portano a riprendere quella frase del Papa in un’intervista, per la verità manipolata, sugli omosessuali: “chi sono io per giudicare?”, aggiungendo che al riguardo “individuare il confine tra il bene e il male oggettivamente è arduo”.

Ricordo come, quando in Parlamento venne discussa la legge sulla fecondazione artificiale, era chiaro che la fecondazione artificiale, secondo l’insegnamento della Chiesa, era moralmente un male, anche se omologa; che ora per padre Passalacqua non si possa dire “oggettivamente” un male la fecondazione artificiale eterologa accompagnata da uso di una donna come incubatrice suona quanto meno strano. Il “chi sono io per giudicare” può valere per la dimensione “soggettiva”; se viene usato anche, come egli scrive, per quella morale “oggettiva”, della “materia”, come si sarebbe detto una volta, contravveniamo all’insegnamento della Chiesa, che al riguardo si è chiaramente pronunciata.

Padre Passalacqua elenca casi nei quali la “comprensione”, l’astensione dal giudizio morale sulla “materia”, sono più appropriati della condanna anche solo sul piano “oggettivo”. Sorprende che nel descrivere questi casi, che per la verità mi appaiono tutt’altro che atti a giustificare la “pratica” (la gestazione surrogata per una sorella o una figlia, per pietà di una donna senza ovaie, per superare una urgenza economica drammatica, per superare la solitudine, per rendersi utile, per solidarietà con gli omosessuali, per generare senza dover poi tenersi il figlio con l’ansietà di doverlo crescere), mai padre Passalacqua metta nel conto il figlio, che viene generato violando i suoi diritti ad avere un padre e una madre veri, ad avere una sua identità non scissa e conoscibile. Tali diritti sono violati indipendentemente dalle motivazioni della maternità surrogata, siano esse accompagnate da pagamenti o da sentimenti. E ciò non mi pare fatto di poco conto per un giudizio. L’empatia che invoca padre Passalacqua non vale per il figlio?

PS Sull’ultimo numero di Vita Trentina padre Passalacqua ha risposto, preannunciando un chiarimento sulla sua posizione.

Manipolazioni delle dichiarazioni di Papa Francesco

di il 25 Febbraio 2016 in etica pubblica con Nessun commento

Titoli e contenuti dei giornali e delle TV parlano di alcune risposte che Papa Bergoglio ha dato in aereo durante il suo viaggio di rientro dal Messico. Il Papa avrebbe detto, con riferimento al candidato alle primarie negli USA Trump, che “chi alza muri non è cristiano”. Parrebbe una condanna a ogni politica che cerchi di limitare i flussi migratori. In realtà il Papa ha detto che non è da cristiani pensare “solo” ad alzare muri. Vale a dire, un cristiano può pensare ad alzare muri, ma deve pensare anche ad aprire ponti. E del resto non può che essere così: ogni collettività politicamente organizzata deve poter controllare i flussi attraverso i suoi confini, il che richiede muri (di qualche genere) non valicabili e varchi (i ponti) nei quali filtrare entrate e uscite. Se così non fosse, non sarebbe cristiano neppure mantenere i muri che circondano il Vaticano.

Altra “pronuncia” papale, secondo quanto riportano i media: “sulla legge Cirinnà il Papa non si immischia nella politica italiana”, che alcuni trasformano in “la Chiesa non si immischi nella politica italiana”; si omette di dire che il Papa ha anche detto che ha lasciato ai vescovi italiani (Conferenza episcopale italiana, presieduta dal cardinale di Genova Bagnasco) la responsabilità di prendere posizioni al riguardo, dato che il Papa ha una responsabilità universale. Il che è vero, iscrivendosi l’affermazione di Papa Bergoglio nella valorizzazione delle responsabilità dell’episcopato. Il contenuto, quindi, della dichiarazione nella sua completezza è assai diverso da quello diffuso dai media.

Terza pronuncia, che i media raccontano così: “il Papa apre alla contraccezione”. I più tacciono sulla condanna durissima dell’aborto (chiesto anche da organismi dell’ONU per evitare il rischio di malformazioni dei feti in relazione al virus Zika), male “maggiore” che in casi estremi (come già fece Paolo VI) fa preferire il male “minore” della contraccezione. Tutt’altra cosa che “aprire alla contraccezione” senza ulteriori considerazioni. Va da sé che la scelta del “male minore”, che resta “male”, è legittima moralmente quando si deve scegliere tra “mali inevitabili”. Che si possa normalmente evitare una gravidanza senza ricorrere a contraccettivi è noto da tempo.

Non sembra che si ponga anche per i giornalisti una “questione morale”, quella di dire solo la verità e tutta la verità, senza deformare in funzione dei propri (o dell’editore) desiderata?

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