Sui giornali locali si ripetono prese di posizione critiche di orientamenti assunti dalla nuova Giunta Provinciale, in particolare dal suo Presidente Fugatti e dall’assessore Bisesti, in merito a sorveglianza della Chiesa di Santa Maria Maggiore a Trento, chiesa che fu adibita ad aula del Concilio di Trento, e all’invito a mantenere i simboli della civiltà cristiana nelle scuole, quali il crocefisso e, per il periodo natalizio, il presepe.
Due i rilievi per lo più mossi dai
critici: la laicità dello stato e l’indegnità morale di coloro che
mentre valorizzano luoghi e simboli del cristianesimo, di questo
negherebbero fondamentali principi morali nel modo nel quale è
regolato il fenomeno migratorio e il trattamento degli immigrati. Nel
suo stesso editoriale dell’ultimo numero di VT pare indirettamente
dire che le nuove regole non rispetterebbero i fondamentali diritti
umani, richiamando la celebrazione del 70°anniversario della
Dichiarazione universale dei diritti umani.
Nell’intervento di Dialogo aperto di
Ruggero Morandi c’è già traccia di un diverso modo di concepire la
laicità rispetto a quella adottata da tanti cristiani, mutuata da
quella giacobina francese. E’ il modo nord-americano, già
evidenziato da Alexis de Tocqueville. L’apporto alla cultura e alla
politica da parte di confessioni religiose non va sterilizzato in
nome dello stato fondato su una sorta di religione civile (la “dea
ragione”), bensì accolto e valorizzato. Nel caso dell’Italia,
dell’Europa e di tutte le culture che hanno vissuto secoli di
cristianesimo, si può e si deve andare oltre anche la visione
“nord-americana”, in quanto il cristianesimo come civiltà non è
una delle confessioni religiose, ma quella che ha costituito la
stessa identità culturale e sociale. Qualche lettera pubblicata ha
richiamato il patrimonio artistico, e si può dire di ogni arte,
dalla pittura alla scultura, dalla musica all’architettura, ma si
deve richiamare anche lo stesso calendario ritmato dalle festività,
la stessa filosofia e la nascita delle scienze naturali e sociali. Se
si dovessero escludere dal legittimo rilievo pubblico tutte le
espressioni di cultura che derivano dalla civiltà cristiana,
l’Italia, l’Europa e molte altre parti dell’umanità sarebbero
private del rilievo pubblico della loro identità. E’ cresciuta la
secolarizzazione, ma gli elementi di identità cristiana sono rimasti
centrali. Perché chi è deputato a perseguire quella parte di bene
comune che pertiene alla politica dovrebbe sentirsi impedito di
tutelare tali elementi, pena sentirsi definire clericale,
integralista, ecc.? Lo stesso insegnamento della religione cattolica
nelle scuole è un’espressione di avveduta laicità.
E passando al secondo rilievo, quello
più mosso da alcuni ambienti cattolici, si continua a non capire
come sia dovere del cristiano impegnato in politica il perseguimento
del bene comune. Leggi e provvedimenti amministrativi devono essere
orientati ad assicurare il bene di tutti. L’osservanza delle leggi,
specie se assunte in modo democratico, è un dovere morale. Come già
ho avuto modo di osservare in altra occasione, la Dichiarazione
universale dei diritti umani, non prevede affatto il dovere degli
stati di accogliere tutti coloro che desiderano stabilirvisi. Ogni
stato può fissare delle regole ed è dovere civile osservarle. Se
uno Stato ha firmato delle convenzioni internazionali ha l’obbligo di
osservarle, ma non consta che lo Stato italiano le violi, neppure con
le ultime decisioni democraticamente assunte. Cosa c’è di immorale,
di indegno, se delle forze politiche agiscono secondo la visione di
bene comune, tra l’altro condivise da tutti gli stati? Solo una
visione integralista del cristianesimo pretende che l’invito
all’accoglienza di ogni persona in nome della fratellanza universale
si traduca in dovere di emanare norme civili che accolgano tutti
coloro che vogliono stabilirsi in una comunità statuale.
L’insegnamento della Chiesa, anche quello trasmesso dai Papi,
compreso Papa Francesco, ha sempre riconosciuto il dovere degli Stati
di determinare i flussi migratori in funzione del bene comune e in
una precedente lettera a Vita Trentina li avevo segnalati. Ma anche
ammesso, e non concesso, che chi stabilisce tali limiti pecchi contro
Dio e contro gli uomini, non deve valere per lui il valore della
misericordia? Questo vale solo per chi uccide esseri umani nel ventre
materno, mette in crisi per proprio egoismo la propria famiglia,
tradisce le promesse di fedeltà al proprio coniuge, non si propone
di controllare eventuali pulsioni a vivere una sessualità
disordinata, non si cura dell’educazione dei figli, viola i precetti
della Chiesa? Più modestamente ci si dovrebbe limitare all’invito a
curare in modo adeguato la transizione da un regime a un altro, in
modo ragionevole