Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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Referendum costituzionale e gli interessi schierati per il sì

Si moltiplicano in crescendo le prese di posizione a sostegno dell’approvazione dei cambiamenti della Costituzione che gli italiani saranno chiamati ad ottobre a valutare e l’Adige le riporta dedicando ampio spazio. Nel solo numero di martedì scorso due lunghi interventi di Ugo Rossi e di Carlo Ancona, il primo che illustra i grandi vantaggi delle nuove norme per il Trentino e il secondo di critica ai magistrati e ai giuristi che si sono pronunciati motivatamente per il no al referendum.

Resto confuso di fronte alle argomentazioni del Presidente della Giunta Provinciale, che ripete quello che ha già detto la ministra Boschi. Capisco, però, che un Presidente la cui permanenza in ruolo dipende dal partito che comanda a Roma e che, via Governo, ha imposto i cambiamenti, si sia acconciato a lodare, tacendo, invece, sulle gravi lesioni che le modificazioni costituzionali prevedono per la nostra autonomia. Rossi tace sul fatto che la subordinazione dell’entrata in vigore delle nuove norme, se approvate dal referendum, alla revisione degli Statuti delle regioni ad autonomia speciale, non toglie il dovere di adeguare tali Statuti alle nuove norme costituzionali, che sottraggono competenze cruciali (si pensi ad ambiente e a energia) a tutte le regioni, comprese quelle ad autonomia speciale. Rossi ancora tace sul fatto che le nuove norme prevedono la possibilità che il Governo invochi “l’interesse nazionale” per intervenire sulla legislazione di tutte le regioni (comprese quelle ad autonomia speciale), un arretramento che riporta al centralismo di un tempo, il cui superamento era stato giustamente presentato come un grosso passo avanti dell’autonomia. Rossi vanta il permanere del principio dell’ ”intesa” per le modifiche statutarie, ma come ben sa, il principio dell’intesa non dà potere di veto; le autonomie speciali dovranno cedere qualcosa nel campo delle loro competenze attuali, anche se c’è il principio dell’intesa, come anche il caso della Valdastico ha dimostrato. Resto confuso perché non riconosco nelle considerazioni di Rossi, del PATT, uno spirito autonomista chiaro e verace.

Ciò che in un primo momento mi ha sorpreso, ma poi, invece, ho capito che rientra nella piena normalità, è l’appoggio dichiarato alle nuove norme costituzionali da parte di Confindustria e di Coldiretti. Mi è bastato ricordare episodi di storia contemporanea bene analizzati, quando ero studente, dal prof. Giorgio Galli, docente a Trento. Di fronte alle agitazioni sociali del primo dopoguerra (a partire dal 1919), provocati anche dalla crisi economica conseguente alle devastazioni belliche, Mussolini e più in generale i leader fascisti trovarono il sostegno degli industriali e degli agrari. Le organizzazioni di imprenditori si curano più dei propri interessi che dello stato della democrazia. Non a caso la ministra Boschi, a Bolzano, di fronte all’Assemblea degli industriali con il suo presidente nazionale Boccia, ha vantato la rapidità decisionale e la stabilità di governo che le nuove norme garantirebbero. Conta l’efficienza, poco importa se per ottenerla si deve abbassare il livello di democraticità del sistema politico. Agli agrari dei primi anni ’20 si aggiungono ora i Coldiretti, che non sono più solo i “coltivatori diretti”, ma nella classe dirigente, sono titolari di imprese assai simili a quelle degli “agrari” e perciò con i medesimi interessi, cui si aggiungono promesse governative di tutela delle loro produzioni. Spero solo che la medesima posizione non assumano le organizzazioni degli artigiani e dei commercianti, forse meno condizionabili. Capacità di decisione rapida, mettendo in secondo piano il tasso di democraticità, è anche quello che invoca il giudice Carlo Ancona. Vorrei timidamente osservare come le nuove norme non impediscono agli eletti, anche se nominati, di cambiare opinione nel corso dei cinque anni di legislatura: possono costituire gruppi autonomi che non obbediscono più a chi li ha nominati. Il principio maggioritario nelle leggi elettorali vige dal 1994 e non è valso a scongiurare crisi di governo e interruzioni di legislatura. Non lo è valso neppure il potere di nomina dei parlamentari da parte dei vertici di partito; si pensi all’attuale legislatura: eletti preordinati nelle liste del medesimo partito che hanno poi costituito partiti e gruppi parlamentari autonomi. All’aver fatto diminuire il livello di democraticità nella scelta dei parlamentari (fino a infrangere la Costituzione) non ha corrisposto un maggior controllo di parlamentari da parte dei leader, alimentando trasformismi indegni. Come si fa a dire che con le nuove norme costituzionali certamente si avrà maggiore stabilità dei Governi?. Certo si saprà chi ha vinto la sera dello spoglio delle schede, ma non si saprà quanto a lungo il Governo durerà.
La macchina della propaganda per il sì è stata avviata con forze soverchianti governative ed economiche. Spero che i giornali e in generale i mass-media diano spazio anche a chi obietta!

(scritto il 7/6/2016)

Pombeni, VitaTrentina e referendum costituzionale

Su Vita Trentina del 29 maggio, rubrica Dialogo aperto, Paolo Pombeni propone sue riflessioni in merito ai cambiamenti della Costituzione che in ottobre verranno sottoposti a conferma o bocciatura da parte del popolo italiano tramite referendum. In altre prese di posizione pubblica Pombeni si è espresso a favore dei cambiamenti, sostanzialmente in nome del principio che la cosa più importante è che si formi un governo, poco importa se sostenuto dalla maggioranza dei cittadini.
Ciò che in particolare mi ha colpito dell’intervento di Pombeni su VT sono l’affermazione che i vescovi italiani abbiano raccomandato di votare a favore di tali cambiamenti e la scarsa considerazione delle obiezioni.
Non ho avuto notizia di pronunciamenti al riguardo dei vescovi italiani (rappresentati nella Conferenza Episcopale Italiana): forse Pombeni potrebbe citare il documento. Non mi pare che neppure nel più ampio magistero sociale della Chiesa vi sia una pronuncia secondo la quale la rappresentatività democratica delle istituzioni politiche deve cedere il passo alla facilità, alla rapidità, con la quale le autorità di governo possono assumere decisioni.
Sorprende anche il fatto che Pombeni riduca le obiezioni a “un mix di pregiudizi e di interessi al mantenimento dello status quo”, cui evidentemente è da lui ricondotto anche il pensiero di “stimati costituzionalisti”, che menziona in precedenza (salvo che non lo consideri irrilevante).
Pombeni dovrebbe sapere che sul fronte critico ci sono anche quelle parti di mondo politico che in modo esplicito e prevalente si ispirano al pensiero sociale cristiano, non certo riconducibili a “politici populisti, rancorosi”. Sono confluite nel “Comitato Popolare per il NO” presieduto da Giuseppe Gargani, parte della Federazione Popolare. Ma vi sono molti altri Comitati per il No, ai cui aderenti le qualificazioni di Pombeni sono del tutto inappropriate.
Forse sarebbe più produttivo per una scelta consapevole dei cittadini entrare non propagandisticamente nei contenuti dei tanti cambiamenti, ma offrire elementi di valutazione, da rapportare ai valori della democrazia rappresentativa e partecipativa. Gli slogan lanciati da Renzi sono per lo più semplificazioni propagandistiche. Non sono tanto alcuni degli obiettivi enunciati da Renzi a sollevare problema, ma la rispondenza delle modifiche a tali obiettivi senza compromettere valori fondamentali, quali la democraticità di un sistema politico e il principio di sussidiarietà, opposto al centralismo statalista che viene ripristinato da Renzi.
Penso che VT avrà occasione, nei mesi prossimi, di fornire tali elementi di valutazione ragionata, evitando di limitarsi a giudizi sommari, come purtroppo sulla questione Paolo Pombeni, ha fatto.

(scritto il 4/6/2016)

Elezioni comunali a Primiero San Martino di Castrozza: uno sguardo a liste e programmi

Nei giorni scorsi sono state fatte conoscere ai residenti le idee programmatiche delle diverse liste in competizione nelle prossime elezioni del comune di Primiero San Martino di Castrozza. Sono cinque liste civiche, tre in coalizione con lo stesso candidato sindaco.

Dopo la lettura dei vari programmi, mi sono chiesto che cosa differenzi le cinque liste: per gran parte i contenuti sono i medesimi. Ci sono proposte particolari: cito quella della lista in appoggio al candidato sindaco Paolo Simion: impiegare il patrimonio di utili di ACSM (azienda consorziale elettrica e altro dei comuni), ora tenuti in banca (circa 23 milioni), per costituire un fondo di rotazione per investimenti di operatori privati (in effetti nel bilancio consolidato di ACSM non c’è una riga per spiegare se e come tali denari, non pochi, verranno impiegati), ma per lo più vi sono coincidenze.

Abituato a leggere al di sotto dei programmi o in dichiarazioni di principio sensibilità valoriali diverse, si stenta molto a trovarne. Una lista ha forse una sensibilità ambientalista maggiore, ma questa è comune a tutte. Un’altra è un po’ più precisa in merito al sostegno alle famiglie, ma l’affrontare il problema della migliore conciliazione tra lavoro e famiglia è comune. Nessun cenno ai temi divisivi che vanno per la maggiore a livello trentino e nazionale (oltre che europeo).

Parlando con un mio cognato, che conosce meglio di me le parentele dei quattro ex-comuni ora uniti, mi diceva che per la prima volta non vi sarà un voto di parentela: salvo eccezioni di gruppi parentelari senza candidati, le parentele più consistenti sono divise tra più liste e tra più candidati sindaci. Io stesso ho due nipoti (figli di sorelle) candidati in due liste con due candidati sindaci diversi. Altri amici con comuni storie politiche sono in un’altra lista ancora.

Ci si può allora chiedere che cosa motivi la proliferazione di liste: non l’ideologia, non i programmi, non le parentele. Ipotizzerei che il collante sia l’alleanza tra alcuni amici, tali da tempo o tali per aver avuto occasione di stare insieme per qualche attività. L’obiettivo: poter dire la propria, poter mettersi alla prova nella comunità più ampia, evitare che persone poco stimate governino la comunità locale, in qualche caso potersi spartire un po’ di “rendita politica” (cariche, incarichi, contratti, scelte urbanistiche, ecc.). L’immagine di ciascuna lista può essere diversa: ex-amministratori di maggioranza degli ex comuni, operatori economici, “giovani”, ambientalisti, “ex-oppositori”, ma essa rimanda più alle ragioni del coagulo interpersonale che a diversità di scelte politico-amministrative. L’aumentare poi il numero dei “coagulati” fino a giungere a completare la lista o ad avere le “donne” necessarie porta a ulteriore “varietà”.

Due considerazioni sulle liste “mancate”: a parte la provocazione per lo più solo mediatica del sindaco di Mezzano, sono quelle che facevano capo a Marco Depaoli e a Walter Taufer. La candidatura di Marco Deapoli aveva certamente un sapore più politico: che sia mancata è un segno della debolezza dell’appartenenza ai partiti, anche a quelli del “centro-sinistra autonomista” (gli altri non hanno neppure provato). Quella di Walter Taufer (amico da molti anni), aveva un sapore più civico, ma ha pagato lo scotto di una presenza quasi esclusiva a Siror: un coagulo di amici troppo limitato, per di più “colpevole” di non aver sostenuto esplicitamente lo scorso anno il progetto di fusione, anche se ora ne prendeva atto e vi si impegnava.

Cinque liste e tre candidati sindaci danno l’impressione di una comunità divisa; in realtà è divisa solo per le reti fiduciarie interpersonali, necessariamente di “piccolo gruppo”, cui sono connesse parzialmente moderate divisioni di interessi (spartizione della rendita politica). Non è divisa, invece, sui valori e sugli obiettivi da raggiungere. E questo è importante per avere qualche incidenza sulle scelte politiche provinciali. Galleria e non variante di percorso per l’accesso al Rolle, miglioramento della strada dello Schener, circonvallazione dell’abitato multicentrico comunale di fondovalle, autonomia nell’uso delle risorse energetiche (no a incorporazioni di ACSM e Primiero Energia), investimenti nel sistema impiantistico e nel collegamento San Martino-Rolle, mantenimento dei servizi scolastici, sono solo alcuni dei temi nel quali Primiero si presenta unita nel confronto con la Provincia, titolare di competenze e denaro pubblico per esercitarle. E’ un fatto positivo.

L’inferma politica trentina: mancano i leoni e le volpi non sono scaltre

Non è una bella stagione per la qualità della politica trentina, stando alle valutazioni che si rincorrono sui giornali locali. Non si sa disegnare il futuro sia dell’economia che dell’assetto istituzionale ed emergono le “magagne” dell’amministrazione “ordinaria”, stretta dalla contraddizione tra gli ideali di buona amministrazione orientata in termini universalistici al bene comune e le pratiche di appropriazione della “rendita politica” offerta dal ricoprire posizioni di potere.

Non sono problemi di oggi. Da quando per vantaggi di potere (accordo elettorale-politico con la SVP) chi governava il Trentino ha posto le basi per rendere il Trentino più solo, distruggendo la dimensione regionale, non è più chiaro come conciliare la persistenza della Regione, necessaria per la legittimazione della speciale autonomia trentina, con la razionalità dell’assetto istituzionale, che poco giustifica enti senza competenze di qualche rilievo. E così oggi si annaspa, mettendo in campo procedure per il “Terzo Statuto” senza prospettive chiare.

Anche per il futuro economico mancano prospettive di medio-lungo periodo: la locomotiva industriale su cui si basava il primo piano urbanistico di Kessler è da tempo ferma e se ne smontano i pezzi; altre attività come quella turistica segnano il passo e con esso l’artigianato e l’edilizia che vi sono connessi; il terziario pubblico deve fare i conti con risorse calanti; gli sforzi di creare imprenditorialità in settori del “terziario avanzato” interessano pochi. L’agricoltura vive la crisi del latte. Valorizzazione di produzioni locali hanno successo, ma restano pur sempre insufficienti a creare una base economica adeguata. Molta cooperazione, specie nel settore del consumo e del credito, soffre crisi economica e di ideali.

E’ sentimento diffuso che questo stato di cose sia il riflesso locale di una crisi generale, che attraversa molta parte della società occidentale, quella che non è all’avanguardia nei processi di innovazione: la fabbrica del mondo è in Cina e in altri paesi asiatici, mentre la capacità di innovare, creando vantaggi competitivi basati sul miglioramento delle conoscenze scientifiche e tecniche, è in ristrette aree dell’Occidente.

Ci si dovrebbe, allora, consolare, vantando la buona amministrazione: onestà, competenza, orientamento al bene comune. E invece anche in Trentino emergono usi del potere politico-amministrativo che testimoniano la permeabilità dell’agire amministrativo agli interessi privati, particolaristici, connessi a amicizie, parentele, clientele. Forse il grado di permeabilità è minore che ad altre latitudini o forse le tecniche di mascheramento di tali interferenze sono più efficaci, come ci insegnano i paesi ritenuti più “corretti”. Basta aver vissuto un po’ di esperienza politica per accorgersi, però, che ovunque la competizione politica porta con sé lotta per appropriarsi della “rendita politica” (contratti, incarichi, cariche in enti e società para-pubbliche, cariche di mero prestigio), la quale viene distribuita in cambio di consenso politico, già avuto (ricompensa) o sperato (caparra). Sociologia e scienza politica lo attestano. E ciò vale anche in qualche misura nei momenti rivoluzionari dei “leoni”, oltre che, con maggior forza, in quelli delle “volpi” come chiamava Pareto i due diversi tipi di leader.

Il Trentino non ha più leoni, ma anche le volpi sono insufficientemente scaltre nel mascherare le loro trame, facendole apparire “buona amministrazione”, onesta, competente, solo orientata al bene comune. Viene il dubbio che di leoni non ne nascano perché la secolarizzazione e il relativismo etico hanno sterilizzato ideali forti e che manchi anche la capacità di avere chiaro cosa sia onesto o disonesto, ciò che sia utile alla comunità tutta, e quale sia la modalità più efficace di realizzarlo.
La sfida da affrontare è quindi prima di tutto culturale, etica e scientifica.

popolarismo e liste civiche

il Trentino del 23 dicembre pubblica un ampio intervento di Elena Albertini in merito al possibile raccordo tra formazioni civiche ed espressioni politiche del popolarismo, analizzandone le condizioni. I riferimenti sono fondamentalmente alla realtà trentina, ma il tema si sta ponendo anche su scala nazionale. Al seminario di Orvieto del 28 e 29 novembre scorsi (che ha approvato il Patto di Orvieto) partecipavano non solo formazioni politiche di ispirazione popolare, ma anche esponenti di esperienze elettorali civiche rilevanti anche a livello regionale (es. in Puglia, in Umbria). Si sta assistendo a un processo di riorganizzazione politica dell’area che alcuni chiamano “moderata” (come se quella egemonizzata da PD di Renzi non lo sia), ma che preferirei definire di ispirazione popolare, che trova radici nell’umanesimo cristiano, liberale nel senso di Rosmini e Sturzo ma anche sociale (dottrina sociale della Chiesa, mutualismo, cooperazione, sindacato, economia sociale di mercato), quell’umanesimo che ha informato di sé la Costituzione italiana.

Elena Albertini condiziona la ripresa di tale presenza politica all’emergere di un leader che sappia coagulare e attrarre consensi. Per ora tale leader non emerge, ma credo che il processo possa essere costruito ugualmente. Uno dei fattori che ha facilitato tale processo sta nella convinzione che il valore della democrazia come partecipazione non debba essere posposto alla rapidità dei processi decisionali garantiti dalla concentrazione del potere in una persona, in qualsiasi modo essa sia stata scelta direttamente alle elezioni. Tale posposizione era avvenuta prima con Berlusconi ed ora con Renzi. Tutta l’esperienza democratica della Repubblica fino ai primi anni Novanta era connotata dalla partecipazione, coinvolgendo le varie formazioni sociali; non era limitata al momento elettorale, peraltro pur esso attento alla rappresentatività, alla corrispondenza tra suffragi ottenuti e rappresentanza nelle istituzioni deliberative, principio regolativo essenziale della democrazia. La partecipazione motivava anche il rispetto delle autonomie, sociali e territoriali. Il movimento delle liste civiche esprime il desiderio di poter partecipare alle scelte di interesse della comunità, disconoscendo i partiti affermatisi negli ultimi vent’anni come strumenti efficaci per realizzare tale desiderio. E il fatto che quote rilevanti dei cittadini sentano tale movimento come positivo lascia sperare che la situazione possa cambiare. A ben pensare anche il rifiuto di votare è sintomo di distacco da un sistema politico verticista, come lo è l’innamoramento per metodi di partecipazione elettronica tipica del Movimento 5 Stelle, pur essendo tali metodi altamente selettivi, lasciando fuori dai processi partecipativi la grande maggioranza dei cittadini.

A livello nazionale le formazioni politiche interessate alla ricostruzione del popolarismo stanno orientandosi a sostenere il NO al prossimo referendum sulla riforma costituzionale voluta da Renzi (peraltro non ancora approvata in seconda lettura). La Albertini si chiede se forze politiche trentine che sostengono Renzi siano veramente ispirate al popolarismo. Il medesimo interrogativo a livello nazionale si può porre per “Area Popolare”, il gruppo parlamentare che unisce UDC (quel che resta) e NCD e che sostiene Renzi. Qualcuno si accontenta del fatto che Renzi, da giovane, è stato un popolare, ma le posizioni in tema di democrazia partecipata che egli ha espresso ed esprime (da ultimo sulle elezioni spagnole) fanno dire che semmai il valore della democrazia partecipata è espresso più dalla vera sinistra, non a caso a lui in opposizione.

Il terreno primo di incontro tra movimenti civici e movimenti ispirati al popolarismo di Sturzo e Degasperi, a livello locale e nazionale, è quindi, a mio avviso, quello della concezione della democrazia. Senza democrazia partecipata non c’è popolarismo e non c’è civismo. C’è tecnocrazia o elitismo vestiti da parvenze democratiche, che del resto non sono per lo più mancate neanche nei regimi più autoritari. Come si ricava dalle ricerche europee sui valori (EVS) è il culto dell’efficacia, della rapidità decisionale, della competenza tecnica il tarlo che sta corrompendo le democrazie oggi: popolarismo e civismo sono chiamati ad essere l’antitarlo.

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