Sul Trentino del 31 gennaio l’editoriale di Francesco Jori denuncia acre l’incapacità dell’attuale classe politica di dare all’Italia una legge elettorale adeguata a garantire rappresentatività e governabilità. Il motivo sarebbe nel fatto che, secondo le previsioni, non vi sarebbe né singolo partito, né coalizione, in grado di ottenere la maggioranza in Parlamento e quindi sarebbe necessario ricorrere, per avere una maggioranza e un governo, ad accordi e mediazioni al ribasso, intessuti di ricatti e veti incrociati. Aggiunge una critica ai sostenitori del no al recente referendum costituzionale, perché incapaci di proporre una legge elettorale adeguata. A parte quest’ultima considerazione, non pertinente in quanto dire di no a un cambiamento della Costituzione non implica anche dover elaborare una comune proposta di legge elettorale, è l’insieme delle argomentazioni a non essere convincente.
Prima osservazione: se una legge elettorale garantisce rappresentatività, la governabilità non può derivare da essa, bensì dalla capacità di una forza politica o di una coalizione di ottenere la maggioranza dei voti. Se si vuole garantire che comunque anche una minoranza, la più grande, possa avere la maggioranza degli eletti, viene mortificata la rappresentatività delle altre forze politiche.
Seconda osservazione: l’aver ottenuto la maggioranza degli eletti non garantisce la governabilità, essendo sempre possibile che una parte degli eletti cambi opinione e schieramento nel corso della legislatura. E’ accaduto sovente in questi ultimi anni. E non sempre si è trattato di trasformismo di singoli parlamentari, ma di cambiamenti politici motivati che hanno riguardato componenti rilevanti di un partito o di una coalizione.
Terza osservazione: più i sistemi elettorali premiano in termini di rappresentanza il partito o la coalizione che raggiunga una determinata soglia di voti (oppure anche l’elezione di candidati in collegi uninominali) maggiore è l’incentivo a costruire liste di partito o coalizioni inclusive di identità politiche diverse, con la conseguente maggiore fragilità sia delle maggioranze, sia delle formazioni di minoranza. L’incoraggiamento all’inclusione si traduce in accordi, spartizioni, ecc. quale che sia il sistema elettorale.
Ciò premesso, non v’è sistema elettorale che risolva il problema di come si arrivi a comporre la varietà di opinioni politiche presenti in un quadro di stabilità. Serve sempre un dialogo tra gruppi di opinione politica diversa, sia prima delle elezioni, sia dopo, sia durante la legislatura. Che il risultato sia una mediazione “alta” o meramente spartitoria di posti di governo, sottogoverno, in Parlamento, dipende dalla qualità delle formazioni politiche. Questa a sua volta dipende dal fondamento sul quale si basa la forza politica (motivazioni più o meno altruistiche dei politici, loro competenza tecnica e loro capacità di rapportarsi con le forze sociali, economiche e culturali, elaborazione ideologica riferita a valori, che dà stabilità di orientamento nelle scelte).
Per tutte queste ragioni, si può dire che un sistema elettorale proporzionale (magari con soglia minima per scoraggiare frammentazioni artificiose), con libertà totale di scelta tra i candidati serve a garantire meglio di altri la rappresentatività, mentre la governabilità si può raggiungere solo con accordi, prima o dopo le elezioni, tra forze politiche sulla base di programmi condivisi. E’ quanto accade in Germania, in Austria, in molti altri paesi ed è quanto è accaduto in Italia fino al 1994, dapprima con governi di derivazione CLN, poi centristi, poi di centro-sinistra, poi di “compromesso storico” e infine ancora di “pentapartito”. Cambiavano spesso i governi, ma non le maggioranze che davano stabilità al quadro politico, divenuto progressivamente più inclusivo, secondo un modello politico “comunitario” che valorizza l’apporto di tutti o quasi (come accade tuttora per es. regolarmente in Svizzera). Perché non mettere nel conto il fatto che compito della politica è anche quello di costruire convergenze su una comune piattaforma? Se il bipolarismo è finito in Italia, è inutile ricostruirlo artificialmente con meccanismi elettorali che mortificano la rappresentanza; meglio pensare a dialogo per costruire accordi, tenendo conto della rappresentatività di ciascuna forza politica.