Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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burocrazia

Chiesa-comunità è Chiesa strutturata

di il 5 Dicembre 2020 in burocrazia, comunità, religione con Nessun commento

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sul Trentino del 14 novembre Danilo Fenner, commentatore di questioni religiose del giornale, critica l’eccessiva burocratizzazione della Chiesa cattolica e vede in ciò una delle ragioni di conflitto tra la realtà e quanto invece vorrebbe Papa Bergoglio, una Chiesa-comunità. più “sinodale”. E fa un lungo elenco “una pletora” scrive, di organismi interni della stessa Chiesa locale, della diocesi, che, tra l’altro vedono un ruolo marginale delle donne e l’onnipresenza del clero. Rilevo che dall’elenco manca stranamente un altro organismo diocesano, la “Consulta dei laici”, che raccoglie esponenti di associazioni e movimenti cattolici, dove Presidente eletta è da più mandati una donna e dove le donne sono numerose.

Leggendo l’articolo sono riandato col pensiero alla mia gioventù, nel periodo del Concilio Vaticano II e degli anni immediatamente successivi, quando la costituzione di organismi di partecipazione era visto, alla luce dei documenti conciliari, come un fatto positivo, innovativo, rispetto alla situazione precedente nella quale la gestione delle decisioni attinenti alla Chiesa, anche locale, erano di competenza esclusiva delle autorità ecclesiastiche (parroco, vescovo). Come mai tali organi di partecipazione sono giudicati da Danilo Fenner come “burocrazia”, che contrasterebbe la “sinodalità” che vorrebbe, invece, Papa Francesco? Pure il Sinodo, peraltro, è un organismo di partecipazione, in versione certo più “assembleare”, ma disciplinato da regole e da rappresentanze anche a livello diocesano, come l’ultimo tenuto nella diocesi trentina per volere del vescovo mons. Gottardi. C’è un altro aspetto della gestione ecclesiale che viene spesso criticata, il procedere per pianificazioni. Ricordo quando si criticava la gestione “episodica” di iniziative e, sulla scorta di quanto accadeva anche in campo civile, con l’affermarsi della pianificazione o programmazione (economica, sociale, urbanistica, ecc.) anche nella gestione ecclesiale e associativa si procedeva per piani (e ancora si procede) e la loro formulazione e valutazione era compito degli organi di partecipazione, ciascuno con le sue specifiche competenze. Anche a questo riguardo c’è chi rinviene in tale pianificazione non il tentativo di dare razionalità all’azione, ma un sovrabbondare di burocrazia. Meglio l’improvvisazione che nasce dall’ispirazione dello “Spirito Santo”, che soffia dove vuole e non si lascia disciplinare dalla razionalità umana.

Danilo Fenner (ma non è solo, con lui egli vede anche il Papa attuale) vorrebbe altri modelli di gestione, ispirati a una Chiesa-comunità, “non burocratica, non dottrinaria, non strutturata…. dove a decidere non sono i preti”. Risento l’eco di uno spirito “sessantottino”, che aveva destrutturato la formazione universitaria e voleva destrutturare i partiti e i sindacati, sostituendoli con “movimenti” e comitati condotti da leader, voleva destrutturare la famiglia (ricordo le “comuni” anche a Trento), e così via. Non mi pare che l’esperienza abbia dimostrato che simili modelli gestionali abbiano portato grandi risultati. E in ogni caso un periodo “movimentista” termina con l’estinzione dell’effervescenza e/o con la strutturazione, che vede regole, apparati amministrativi, “dottrine” di riferimento. Anche la “comunità” vive strutturata, come dimostra la storia delle comunità locali. La “rivoluzione permanente” non è mai durata a lungo, né nella Cina maoista nè nella Cuba castrista. Il problema da cui originano i sentimenti espressi da Danilo Fenner non sta né negli organismi di partecipazione né nella programmazione delle attività, ma nella debolezza della fede, dell’esperienza ecclesiale, nella secolarizzazione del nostro modo di vivere, che lascia uno spazio sempre più esiguo alla forza e alla portata della risposta religiosa alle questioni di senso della vita nostra e del mondo. Sempre meno persone che scelgono il sacerdozio o la vita consacrata. Sempre meno forte è il senso di appartenenza ecclesiale. Cresce la religione “self service”, “à la carte”. Desiderare una Chiesa destrutturata, perfino anche nella dottrina, è espressione di ciò.

Inviato a il Trentino e finorta non pubblicato

Provincia di Trento: peggioramenti per agricoltura marginale

Oggi mi è arrivata la richiesta dell’Azienda Sanitaria Provinciale di pagare una nuova tassa per l’iscrizione (obbligatoria) delle mie poche capre (dieci) all’apposita Anagrafe. A differenza di quanto accade per i debiti verso il fisco per l’IRPEF, da non versare se gli importi sono piccoli, in questo caso si stabilisce un minimo che è stato fissato nell’equivalente di 75 capre (15 euri più IVA più un altro balzello), non importa se uno ne ha una o due o dieci come me. A decidere questa nuova tassa è stata la Giunta Rossi con delibera del luglio 2018, un piccolo “regalo” pre-elettorale ai piccoli allevatori. Ma non basta; bisogna andare da un commercialista, a meno che uno non sia un esperto in materia, per capire come far funzionare il sistema della fatturazione elettronica. Mi chiedo come mai la nuova Giunta Fugatti, giunta popolare-autonomista per il cambiamento, non abbia provveduto a correggere gli odiosi balzelli introdotti dal centro-sinistra. Esistono anagrafi obbligatorie dei cittadini ed esistono anagrafi, sempre obbligatorie, delle api. Ma sono gratuite. Perché quella delle capre da gratuita è divenuta a pagamento? Per “servire” i piccoli allevatori marginali, dopo averli serviti con la presenza sussidiata dall’ente pubblico di orsi e lupi?
Ma non è l’unico peggioramento delle condizioni dei piccoli allevatori che la Giunta nuova ha introdotto o applicato ex novo senza correzioni, nonostante le segnalazioni.
In passato mi è capitato più volte che muoia una capra; con una telefonata si avvisava il Servizio provinciale veterinario e si consegnava  la capra morta alla ditta che provvede al trattamento della salma. Il veterinario pubblico andava dalla ditta per fare eventuali controlli sanitari. Il tutto veniva a costare 4 euri. Da alcuni mesi la procedura è cambiata; qualche settimana fa mi è morta, forse per avvelenamento al pascolo, una capra: non basta più avvisare il servizio veterinario provinciale, ma occorre chiamare un veterinario privato libero professionista (il quale non è subito disponibile) che viene presso il luogo dove è stato messo il cadavere della capra e fa il prelievo per gli accertamenti sanitari ed emette parcella. I peggioramenti sono due: necessità di mettere in qualche luogo il cadavere (che può iniziare a decomporsi se fa caldo e il veterinario privato non può venire o se il tutto accade di sabato e domenica) e pagare la parcella (una quota elevata del valore della capra viva). Fatta questa procedura, bisogna andare al Servizio Veterinario Provinciale (tempo da impiegare e costi) e consegnare l’attestazione del veterinario circa il prelievo fatto assieme al materiale organico prelevato. Poi bisogna contattare la ditta che tratta i cadaveri per la consegna del cadavere, il che può avvenire anche a distanza di giorni. Il peggioramento intervenuto è netto.
Un altro problema merita segnalare. Se muore un asino che hai dichiarato destinato al macello per carne, la PAT, come per le capre, assume l’onere delle spese di consegna del cadavere alla ditta che se ne occupa (salvo 4 euri). Se invece muore un asino che hai destinato alla riproduzione (ossia per tenerlo qualche anno perché produca asinelli), il costo dello smaltimento del cadavere è a carico del proprietario. Un paio d’anni fa, per un’asina morta nel partorire, il costo è stato di circa 300 euri, circa la metà del valore dell’asino vivo. Ma per avere asini da carne si devono pur avere asini per la riproduzione, ossia da vita!
E’ un po’ strano che la PAT da un lato condivida le lagnanze degli allevatori, specie marginali, sottoposti al rischio lupo e orso e dall’altro aggravi di costi e di burocrazia gli stessi allevatori che subiscono la perdita di qualche animale. Se il problema è quello economico, lo si risolva almeno senza aggravi burocratici, davvero eccessivi.
Un ultimo problema con il Servizio Veterinario; mia moglie quest’estate è stata morsa a un braccio dal nostro cane (spaventato dal trattamento anti-zecca). Si è recata al pronto soccorso e ha pagato la medicazione con la tariffa più alta. Giusto. Ma dopo alcune settimane il Servizio Veterinario Provinciale ha mandato un’ingiunzione di pagare circa 20 euri, solo perché qualcuno del Servizio ha telefonato a casa per informarsi sulla eventuale volontà di abbattere il cane. Mi sembra una ingiunzione ingiustificata, che fa arrabbiare chi la deve pagare, dato che non corrisponde ad alcuna prestazione nè ad alcuna osservazione dell’animale, come dichiarato anche nella lettera che trasmette l’ammontare da pagare.
I problemi che la giunta popolare-autonomista per il cambiamento deve affrontare sono certamente più grandi di quelli segnalati, ma si incarichi qualcuno ad occuparsi delle cose di poca importanza o che riguardano persone non molto “pesanti” politicamente, cominciando, almeno dal rispondere alle segnalazioni. Anche questo segnala il cambiamento, anche se il ministro Fraccaro, tempo fa, mi ha accusato di occuparmi di problemi risibili! Saranno risibili per lui, ma non per chi li subisce.

scritto 11 dicembre, inviato a l’Adige e non pubblicato

Targhe della Motorizzazione civile di qualità scadente che obbligano a reimmatricolare i veicoli con costi a carico dell’automobilista

di il 31 Dicembre 2019 in burocrazia, servizi pubblici con Nessun commento

Mercoledì scorso sono andato in un’officina autorizzata per la revisione periodica della mia “ammiraglia”, un VW Touareg 2500 cc diesel del 2003, ancora ottimamente funzionante senza problemi. Ma il centro revisioni non ha avviato i controlli per la revisione perché la targa non era pienamente riflettente, avendo subito qualche distacco modesto della pellicina che dà la riflettenza, risultando altrimenti del tutto integra e pienamente leggibile. Mi chiedo perché la Motorizzazione Civile, gestita tra l’altro dalla Provincia, non fornisca targhe che siano valide per la normale durata del veicolo. Se per qualche ragione non vuole farlo, sarebbe giusto che provvedesse essa a cambiare la targa a sue spese. Invece, per la scarsa qualità della targa fornita, fa pagare all’automobilista la reimmatricolazione del veicolo, con non indifferenti oneri economici e perdite di tempo. Se per garantire efficaci controlli notturni sull’identità dei veicoli è richiesta una targa riflettente, che questa venga fornita efficiente, capace di restarlo! E se il fornitore delle targhe è incapace di fabbricarne di buone, si cambi fornitore! L’addetto alla revisione mi ha detto che all’estero vi sono soluzioni valide, ma che la Motorizzazione Civile si rifiuta di adottarle! Per quali motivi? E intanto disagi e costi si scaricano sui cittadini!
Il giorno dopo mi sono recato agli uffici della Motorizzazione Civile di Trento. Nello strumento che rilascia il bigliettino di prenotazione per lo sportello non avevo nessuno che già fosse in attesa. Ma ci sono voluti tre quarti d’ora prima che potessi accedere a uno sportello. Le due impiegate addette non parevano motivate a far accedere nuovi utenti e, terminato il disbrigo della pratica in corso, con molti tempi morti in attesa di versamenti alle poste, se ne sono poi andate mettendosi il cappotto, presumibilmente per prendersi una lunga “pausa caffè”. Quando una terza impiegata ha chiamato il mio numero, mi dice che per avere il cambio targa serve un appuntamento, che però sarà possibile dopo l’Epifania. Osservo che nel frattempo scade la validità della revisione e mi dice che, se voglio fare in fretta, in un giorno, vada da un’Agenzia per le pratiche automobilistiche, ovviamente a pagamento. Osservo che già dover pagare centinaia di euri per cambiare una targa scadente fornita dalla Motorizzazione era una sorta di gabella non dovuta e che non intendevo pagare ulteriormente. Alla mia domanda come mai le targhe non venivano fornite di buona qualità, la cortese risposta è stata un comprensivo sorriso: la colpa era dello Stato. Mi chiese se ricordavo di avere il certificato di proprietà; non ricordandolo, mi ha chiesto di tornare all’indomani per fissare l’appuntamento, perché l’iter della pratica cambiava a seconda se avessi tali certificato o meno. Nessun avviso in merito sul sito internet.

Dopo la cattiva esperienza di mesi fa, di aver dovuto pagare due volte per una targa sbagliata, si ripete il disagio per il cittadino. Le impiegate (almeno le due che ho visto assentarsi) non sembravano motivate a servire gli utenti: cortesia avrebbe richiesto almeno di chiedere scusa a chi attendeva se si prendevano una “pausa caffè”. Come già per le visite mediche specialistiche, l’organizzazione mira non a servire al meglio l’utente, ma a spillargli soldi. Mesi di attesa per una visita oculistica o urologica se con ticket, ma nessuna attesa o attesa brevissima se si paga per intero la visita. Qui si tratta di favorire le Agenzie automobilistiche, ma a danno dei cittadini; pratiche subito pagando le Agenzie, pratiche lunghe di più settimane se si vuole pagare solo la tassa provinciale. Giunta del cambiamento: sveglia! I cambiamenti che servono al cittadino non sono solo quelli di scegliere un dirigente o un consulente al posto di un altro, ma soprattutto quelli che fanno sentire il cittadino non servitore o pollo da spennare, ma persona da “servire”.

scritto 19 dicembre 2019

Risposta a Aldo Collizzolli: il Trentino “minore”, “marginale” non va disprezzato

Al Direttore del Trentino,
grazie per il passaggio della penna (sperando che abbia finito la risata) per rispondere alla lettera di Aldo Collizzolli, pubblicata sul Trentino di domenica 13 maggio. Non è il primo, Aldo Collizzolli, a esprimere fastidio a me direttamente o ai direttori dei giornali locali per le mie prese di posizione su vari argomenti, mentre altri mi esprimono apprezzamento. Ho notato che in generale il fastidio è espresso da chi non condivide o non ha condiviso le mie scelte politiche (ed è il caso di Collizzolli), mentre l’apprezzamento viene da chi non le sente lontane dalla proprie oppure da chi ha vissuto i medesimi problemi da me evidenziati, ma senza avere deciso di esprimerli pubblicamente. Non sono mancati casi nei quali è accaduto il contrario.
Non so perché Aldo Collizzolli chiami in causa il mio essere sociologo. Ho sempre ben distinto il mio ruolo professionale di ricercatore e insegnante universitario da quello di persona che ha una vita anche al di fuori della professione: una grande famiglia, un’attività agricola marginale tendente all’autoconsumo, già amministratore locale, impegnato nell’associazionismo di ispirazione cattolica, particolarmente sui temi della famiglia e della vita, impegnato nella politica per alcuni anni (e marginalmente tuttora). I problemi sui quali scrivo solo raramente concernono la mia qualifica professionale (è avvenuto per es. anche con Lei, qualche tempo fa, in merito alla fondatezza dei risultati di certi sondaggi), mentre quasi sempre riguardano la vita normale di ogni cittadino. E sono spesso problemi che ho incontrato personalmente, ma che riguardano molti altri cittadini, specie quelli delle periferie rurali. Collizzolli li ridicolizza, ma forse perché non li ha mai sperimentati. Che ci siano bambini che devono soffrire della mancanza della loro madre per la soddisfazione di due maschi di essere due “padri” dello stesso bambino ottenuto pagando una o più donne, non mi pare un problema cui irridere. Che, senza base giuridica, si complichi la vita di chi usa delle stufe a legna, che uffici provinciali, dopo averti obbligato a cambiare una targa, ti diano quella sbagliata e ti obblighino poi a ripagarla per avere quella giusta, che chi regola le tariffe elettriche scarichi sugli utenti di energia elettrica oneri impropri assai maggiori di quanto dovuto per l’energia consumata, che chi ha un maso in montagna debba pagare l’onere per la raccolta delle immondizie che non viene fatta o che debba partecipare alle spese comunali per le strade (con l’IMU o imposte analoghe) quando le strade non ci sono o sono impercorribili, quando una persona alleva qualche animale usando pascoli marginali in montagna e debba sorbirsi le conseguenze di coloro che amano sapere che in montagna vivono orsi e lupi che si nutrono dei suoi animali (e si potrebbe continuare con i problemi), non mi pare che si tratti di fatti cui irridere. E di solito Lei, come suoi colleghi direttori di giornale, non lo fanno, anzi, contribuiscono a portare i problemi all’attenzione della generalità dei cittadini e dei responsabili.
Mi dispiace che per Aldo Collizzolli valga più il fastidio per il fatto che uno scrive spesso su argomenti diversi che il mettere in evidenza i problemi per sollecitare una loro soluzione. E poi ci si chiede perché la sinistra perda consensi. Spesso è rappresentata da politici da salotto, che dei problemi della vita quotidiana delle periferie non si interessa più.

La burocrazia uccide l’agricoltura per autoconsumo, definita hobbista, e le microimprese agricole

Sono reduce da un corso organizzato dalla Fondazione Mach per il rilascio del cosiddetto “patentino” per l’uso di fitofarmaci. Il corso è stato ottimamente tenuto, ma il quadro emerso circa le normative in atto in materia mi ha rivelato un fenomeno che non supponevo così esteso, e che ben si accorda con quello, segnalato qualche tempo fa, dell’anagrafe, con prove varie, delle stufe a legna.
Prima questione: l’agricoltura per autoconsumo è definita “hobbistica”; per essa mancano ancora norme precise; per ora vi sono restrizioni ed esenzioni da obblighi. Innanzitutto è un’offesa definire hobby la coltivazione di aree agricole per autoconsumo, e non solo perché tale non è per la maggior parte degli agricoltori del mondo, ma perché essa ha sia una funzione economica per la famiglia, sia una ambientale-paesaggistica, perché cura aree agricole per lo più marginali (anche solo in termini di entità ridotte delle superfici) che per l’agricoltura per il mercato non è conveniente coltivare (e sono molte in Trentino e in generale nelle aree montane), sia infine una per il controllo e la cura della salubrità dei prodotti che poi vengono utilizzati in famiglia.
La si chiami correttamente “agricoltura per autoconsumo” e in ossequio alla definizione di imprenditore agricolo contenuta nel Codice Civile, si consideri chi la pratica “imprenditore agricolo” (non hobbista), cui giustamente si può applicare una disciplina particolare semplificata.

Una seconda questione è posta dal criterio per giudicare se l’attività agricola è per autoconsumo o meno. Secondo le norme attuali, è per autoconsumo solo quell’agricoltura i cui prodotti vengono consumati “dalla famiglia”, intendendo per essa quella residente nella medesima abitazione. Se un genitore regala a un figlio sposato e che vive in una sua abitazione qualche prodotto della sua campagna, ciò non gli consente più di essere considerato agricoltore per autoconsumo (nel gergo burocratico, “hobbista”) e quindi rientra tra gli agricoltori cui si applicano le norme proprie dell’agricoltura per il mercato. Sono molte, complesse, pensate per lo più per imprese agricole con dipendenti. Ne cito solo una, che fa scalpore: l’agricoltore, anche se fruisce di un figlio sposato per essere aiutato anche occasionalmente in qualche operazione agricola, anche magari per una sola mezza giornata o un’ora, è tenuto a frequentare un corso di 32 ore come responsabile della sicurezza! Si aggiungono i corsi per anti-incendio e altri minori. Si usano i voucher per semplificare le procedure connesse alle assicurazioni sociali, si fanno norme specifiche semplificatrici degli obblighi fiscali e contabili per le imprese agricole che non superano i 7.000 euri di giro d’affari, ma si impongono obblighi assurdi per altre questioni.

Da sociologo non posso non ricordare come, a smentita delle tesi sulla nuclearizzazione della famiglia, anche nella società moderna sopravvive ampiamente la “famiglia estesa”, non più coabitante, ma intessuta di forti legami sociali solidaristici. Possibile che si debbano considerare tali legami irrilevanti o equiparati a quelli di mercato? Eppure la Provincia di Trento si segnala per le sue politiche familiari!

Se poi si entra nel campo della gestione dei rifiuti, lo scarto tra le norme e la ragionevolezza per l’agricoltura di autoconsumo che si allarga alla famiglia estesa o con produzioni di vendita minime è altrettanto evidente. Si pensi ad es. che un sacchetto che conteneva un kg di prodotto fitosanitario ormai consumato non può essere trasportato se non con una macchina aziendale (vale a dire intestata all’azienda, pagando IVA), e non si possono fare più di dieci km e muoversi solo nell’ambito della regione (con problemi per chi, trovandosi ai confini della regione, ha terreni in due regioni).

Giustamente ci si preoccupa della governabilità e dell’assetto istituzionale, ma se, da parte di coloro che, nelle amministrazioni pubbliche, scrivono le regole non v’è una adeguata conoscenza della realtà o si sceglie deliberatamente di mortificare tutto ciò che non rientra tra gli interessi tutelati dalle organizzazioni professionali o da gruppi di pressione, i governi possono durare, l’assetto istituzionale può essere efficiente, ma per il comune cittadino non v’è scampo. Tra i partecipanti al corso qualcuno diceva come sia ovvio che non si può essere in regola. E’ una perdita di senso civico indotto da chi produce norme assurde. Molto meglio cambiare le norme rendendole ragionevoli e osservarle e farle osservare!

catasto stufe a legna:burocrazia inutile a danno popolazioni montane

di il 16 Dicembre 2016 in autonomia, burocrazia, COMMERCIO con Nessun commento

Nei giorni scorsi mi giunge una lettera della ditta che mi ha installato la caldaia a gas per il riscaldamento e l’acqua calda, invitandomi a prenotare il controllo per l’annuale manutenzione, avvisando che si sarebbe dovuto fare un nuovo libretto. Durante la telefonata di mia moglie per prenotare il controllo, l’esperto della ditta comunica che devono essere censiti in un apposito catasto anche tutti gli apparecchi che usano legna o altri combustibili e che ciò avrebbe comportato un’ulteriore spesa da rapportare al numero di apparecchi. Sorpreso per ciò, controllo via internet la normativa statale e provinciale, la quale obbliga al censimento solo gli apparecchi fissi (purché di potenza nominale complessiva superiore a 5 kw). La ditta, ricontattata, conferma che stando alle istruzioni avute in appositi corsi provinciali, devono essere censiti tutti gli apparecchi, compresi quelli mobili (cucine economiche, stufe), e indipendentemente dalla potenza. Di fronte alle mie rimostranze la ditta, evocando rischi di multe salatissime di migliaia di euri nel caso non procedesse come indicato dai tecnici provinciali, si è rifiutata di procedere al controllo e alla manutenzione della mia caldaia a gas da essa installata. Fin qui la breve cronaca di un episodio che probabilmente riguarda i molti che usano anche o solo legna da ardere.

Credo necessario un chiarimento da parte dell’Assessore provinciale competente e dell’Agenzia provinciale per le risorse idriche e l’energia. Se fosse vero che, contrariamente alle norme scritte, la Provincia abbia istruito i manutentori a registrare nell’apposito catasto (e con oneri a carico del cittadino) anche le stufe e le cucine economiche (“el fogolar” a Trento e lo “spolèr” a Primiero) nonché i caminetti (anche quelli che svolgono ormai solo una funzione estetica di arredamento), siamo all’assurdo. Ad es. a Trento ho una stufetta molto piccola, su un corridoio, che uso forse due – tre giorni all’anno, in caso di forte freddo: dovrebbe essere accatastata, dovrei pagare il corrispettivo, e se il prossimo anno la elimino o la cambio, dovrei procedere alle variazioni del catasto. Idem per due stufe a Primiero che uso pochissimi giorni all’anno, se le uso.

La normativa nazionale (che dice di recepire normative europee – povera Europa!) prevede la possibilità di adattamenti da parte delle regioni e delle province autonome: possibile che in una provincia montana autonoma non si faccia buon uso di tale autonomia? Sarebbe interessante sapere se gli estensori delle norme provinciali vivono nei paesi del Trentino o in città, dove l’uso della legna da ardere è divenuto raro. Per chi vive in montagna, dopo l’orso e il lupo, anche la penalizzazione di chi usa stufe a legna, magari, come nel mio caso, per integrare l’impianto a gas con risparmio di energie non rinnovabili. Mi sorge il dubbio che si ripeta quanto ho visto fare a Roma: per calmare i meccanici che, con la rottamazione delle vecchie automobili, vedevano calare il lavoro, hanno reso più frequenti le revisioni. Forse che in Trentino si vuole dare più lavoro ai manutentori? Che senso ha poi prevedere obblighi di accatastamento e controllo anche per gli impianti allacciati alla rete di teleriscaldamento (come a Primiero?) Rilevo poi un’altra incongruenza della normativa nazionale non rimediata dall’autonomia provinciale: la manutenzione si deve fare secondo le istruzioni del fabbricante la caldaia (nel mio caso ogni anno), mentre il controllo di efficienza energetica, per impianti come il mio, ogni quattro anni. Ma se faccio manutenzione, prescrive la legge, sono obbligato a fare anche il controllo di efficienza energetica (quindi ogni anno!). Che senso ha? Come infine calcolare la potenza nominale di una stufa a legna che ho da decenni? Devo chiamare un tecnico per fare i calcoli e le prove di efficienza? Siamo all’assurdo della burocrazia, europea, italiana e trentina. I trentini si meritano altro!

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