L’editoriale di Pierangelo Giovanetti direttore de l’Adige espone i motivi per i quali i provvedimenti presi dal Governo Renzi sulla scuola, in via di recepimento-adattamento da parte del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento, sono non solo a parole, ma anche nei fatti, a suo parere, in direzione di una “buona scuola”, data la loro ispirazione a principi regolatori quali la valorizzazione del merito degli insegnanti e l’autonomia di chiamata (con limiti) degli insegnanti da parte del dirigente scolastico.
Ricordo che fu proprio la Federazione Provinciale delle Scuole Materne, già oltre trent’anni fa, per impulso e guida dell’allora Direttore prof. Gino Dalle Fratte e con l’aiuto di un gruppo di docenti universitari, a lanciare con la Conferenza Nazionale delle Autonomie, il principio dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, concepite come “scuole di comunità”. Dopo molti anni di impegno qualcosa venne fatto a livello nazionale e ora il Governo Renzi parrebbe aver voluto proseguire. Vi è in realtà una differenza con quella impostazione: l’autonomia scolastica era fondata sulla “comunità” (che vedeva il concorso di responsabili istituzionali, genitori-studenti, docenti), mentre nei provvedimenti di Renzi la responsabilità è del dirigente scolastico, secondo un modello “manageriale” anziché “comunitario” e la differenza non è da poco.
Avendo fatto parte dell’équipe che elaborava le proposte, non potrei che approvare i nuovi provvedimenti, se nel frattempo non avessi fatto l’esperienza dell’autonomia in ambito universitario, che, contrariamente alle attese, le stesse enunciate nell’editoriale, ha invece prodotto un netto degrado della qualità dell’insegnamento universitario. La ragione? La realtà è diversa da quella teorizzata. Le università hanno usato della loro aumentata autonomia per moltiplicare corsi di studio (che consentono di creare nuovi posti di insegnamento, a danno dei fondi di ricerca), disseminare sedi universitarie staccate, chiamare a insegnare non le persone più qualificate, ma quelle più legate da relazioni personali con coloro che avevano il potere di determinare l’esito dei concorsi (e poi di chiamata). E così l’autonomia ha aumentato il “localismo” e il “particolarismo” nella scelta dei docenti, non la qualità.
Si potrebbe dire che comunque l’autonomia e la libertà di iscrizione senza vincoli territoriali porterà a penalizzare le istituzioni scolastiche (i dirigenti) che hanno fatto cattivo uso dei loro poteri. Dall’esperienza si ricava che anche ciò è per gran parte smentito dalla realtà: di fatto genitori e studenti si iscrivono dove è più comodo, quasi sempre la scuola più vicina. Il valore legale del titolo di studio livella di fatto le differenze “qualitative” delle scuole. Inoltre solo i più ricchi possono andare in sedi lontane perché più prestigiose. Senza dire che accertare il livello qualitativo della formazione scolastica impartita è alquanto difficile. Basti vedere in ambito universitario quanti difetti e distorsioni hanno i sistemi messi a punto per giudicare docenti e università, spesso sensibili a criteri “formali” più che sostanziali.
Ho l’impressione che le obiezioni che Giovanetti imputa a un sindacalismo arretrato non siano destituite di fondamento, come la già compiuta esperienza universitaria ha dimostrato. Positivi gli obiettivi che egli enuncia per la qualità dell’insegnamento; assai meno certo che gli strumenti per realizzarli siano adeguati. Soffrono di inadeguata considerazione del fatto che la realtà è diversa da quella supposta.
Da ultimo una nota sulla qualifica di “immorale” all’ostruzionismo messo in atto dalle minoranze per “vendetta”. Per esperienza fatta, maggioranze e minoranze usano dei regolamenti per affermare i propri obiettivi; non ho mai sentito la qualifica di “moralità” o di “immoralità” al riguardo. La maggioranza ha strumenti che possono mortificare le minoranze e li usano disinvoltamente (si vedano i comportamenti del Governo Renzi a proposito di riforme costituzionali e di legge sulle unioni omosessuali); le minoranze ne hanno altri. Meglio sarebbe agire secondo il merito delle questioni, ma il “bon ton” va usato prima di tutto da chi ha dalla sua la maggioranza.
(scritto il 29/5/16)