(lettera al Direttore de l’Adige)
Caro Direttore,
il suo editoriale di domenica scorsa 14 febbraio lancia un grido di forte allarme per il futuro dell’Europa: il ripristino dei controlli dei flussi di persone ai confini tra gli stati dell’Unione (per la precisione, tra gli stati che hanno sottoscritto l’accordo di Schengen, alcuni dei quali non fanno parte dell’Unione Europea, mentre altri che ne fanno parte non sono nell’area Schengen) darebbe un colpo destabilizzante alle fondamenta dell’Europa.
Concordo con le preoccupazioni, ma mi chiedo se il considerare tale ripristino un effetto devastante per l’Unione Europea non produca effetti opposti a quelli intesi da chi lancia l’allarme. Non li produrrebbe se vi fosse una risposta degli stati che consista in una cessione di sovranità all’Unione per quanto concerne il controllo dei confini esterni. Dubito fortemente che ciò possa accadere nel volgere di pochi mesi. Gli stati non hanno voluto cedere sovranità (vale a dire accettare decisioni europee a semplice maggioranza degli stati e del parlamento europeo) in settori come le politiche di difesa e di politica estera o nelle politiche fiscali; che lo facciano per il controllo dei loro confini mi sembra difficile: ciò presuppone che l’Unione Europea si trasformi in vero e proprio Stato (federale o federazione), ma i tempi non mi paiono propizi e in ogni caso sarebbero lunghi.
Pertanto non resta, a mio avviso, che accettare il ripristino dei controlli statali, pur sapendo che è un arretramento nel processo di unificazione europea, senza connettere a tale ripristino l’idea che si vada verso la fine dell’Unione Europea. Chi non è giovanissimo certo si ricorda dei controlli alle frontiere: scomodi, ma certo allora non si pensava che la realizzazione dell’Unione europea fosse impedita da tali controlli. Contavano di più altri “abbattimenti” di barriere, come quelle doganali. Un passo indietro non può far ritenere che tutto il percorso, dagli anni Cinquanta in poi, sia vanificato. Del resto controlli dei documenti e dei bagagli si fanno ovunque anche in altri “check point”, come gli aeroporti, anche per voli interni, ma nessuno fa discendere da ciò conseguenze catastrofiche: solo un costo in termini di tempo per avere più sicurezza. Possiamo ricordare come nel Medio Evo i tanti controlli e dazi tra feudi, anche piccoli, non precludeva l’esistenza di potenti organizzazioni statuali regionali, nazionali e imperiale (europea).
Anche la collaborazione tra entità regionali poste in stati diversi (le euro-regioni) è stata inaugurata oltre cinquant’anni fa, quando i controlli ai confini tra stati venivano fatti. Si pensi per la nostra area all’Euregio , ad Arge Alp e Alpe Adria. Certamente gli abitanti di lingua tedesca dell’Alto Adige-Suedtirol vedono ridare operatività a una frontiera che divide il Tirolo storico; il filo di seta del Brennero diventa un “filo di ferro” e ciò pesa anche simbolicamente, ma è la stessa “potenza tutrice”, l’Austria, a porlo, per una sua tutela. I rapporti tra Alto Adige- Suedtirol e Austria erano divenuti sempre più intensi anche quando l’Austria non era nella Comunità Europea ed esistevano controlli ai confini. L’Accordino stabiliva un’area di scambi agevolati transconfinari sin da dopo la seconda guerra mondiale. E poi esistono modi e modi di fare i controlli: quelli alle frontiere stradali tra gli allora “stati socialisti” dell’Est Europa duravano anche mezze giornate; quelli tra Italia e Austria (e poi anche tra Italia e Jugoslavia) consistevano in un semplice rallentamento per consentire alla polizia di frontiera uno sguardo. Forse a ciò ha pensato anche il Capo del governo austriaco in visita a Roma, quando ha assicurato che il regime dei controlli verrà concordato con l’Italia e le realtà provinciali di confine (Nord-Tirolo e Alto Adige-Suedtirol in particolare).
Pensare a un diritto universale alla libera circolazione delle persone è un’utopia irrealistica; gli uomini si organizzano in comunità politiche, che, per assicurare una vita interna ordinata e avere capacità di governo, debbono poter controllare i confini. E controllare i confini vuol dire applicare dei “filtri” che separano chi può passare e chi no. Finché sono gli stati la forma più forte di organizzazione politica, non può che dipendere da essi il regime delle loro frontiere. Giustamente Lei invoca un passo avanti nel rafforzare come “stato” l’Unione europea; ciò che mi sembra meno produttivo è alimentare l’idea che l’Unione Europea sia in fallimento perché si sta facendo un passo indietro. E’ solo un passo indietro di un percorso di molti passi.
Cordiali saluti,
Renzo Gubert