Si moltiplicano le “porte sante” e i richiami alla misericordia di Dio. Confesso che stento a mettermi in sintonia, complice, forse, anche la conoscenza da sociologo delle dinamiche dell’etica nelle nostre società occidentali o occidentalizzate. La misericordia è apprezzata da chi ha commesso delle colpe o da chi, essendogli state perdonate le colpe, vede ridotta la pena. Non mi pare che nelle nostre società vi siano le condizioni per apprezzare la misericordia di Dio. Il senso del peccato si è assai ristretto; si sono scoperti peccati “sociali” (specie in materia ambientale), ma pochi sono i peccati personali che la coscienza sente con forte rimorso. Per i primi la misericordia riguarda, semmai, l’intera società e ciascun individuo facilmente si ritaglia un ruolo di quasi innocenza. Per i secondi non mi consta che i cristiani avvertano con paura il castigo di Dio. Per molti , nei rari casi sentiti dalla coscienza, basta un pentimento; per ormai pochi si ricorre alla confessione, dopo la quale tutto è risolto, tutto è perdonato. Ancor meno avvertito è il timore della pena, che le indulgenze concesse dalla Chiesa, tra le quali quelle plenarie, e tra esse quelle giubilari, promettono di ridurre o eliminare. Il permissivismo etico è un tratto caratteristico delle nostre società, salvo che per qualche azione particolarmente odiosa e “anti-sociale”. Non è un caso che nel celebrare la messa non siano rari i sacerdoti che, nella parte penitenziale iniziale, invitano a chiedere perdono non più dei “peccati”, ma delle “difficoltà”, avendo il pudore di usare una parola che la gente, anche quella fedele, stenta ormai a capire.
Mi sono chiesto perché, allora, Papa Bergoglio abbia indetto un Giubileo della misericordia. E ho ipotizzato due spiegazioni. La prima rimanda al divario di secolarizzazione esistente tra l’Europa secolarizzata ed eticamente relativista e le comunità cristiane dell’America Latina, dalle quali Papa Bergoglio proviene. Il venire dalla Polonia spiegava alcuni accenti di Papa Voityla; il venire dal Sud America può spiegarne altri di Papa Bergoglio. Da quel poco che conosco, in base alle ricerche compiute anni fa sui valori in Brasile e Argentina, in quelle società la secolarizzazione e il relativismo etico erano significativamente minori che in Europa (Italia compresa). Il senso del peccato e il timore del giudizio di Dio vi sono più vitali.
La seconda rimanda al “progressismo cattolico”, cui molti ascrivono anche Papa Bergoglio, e che ebbe proprio anche in America Latina vivaci manifestazioni dopo il Concilio Vaticano II. Per i progressisti è importante che la Chiesa non entri in conflitto con “il mondo”, ma con esso stabilisca un dialogo volto alla comprensione, nella fiducia che ciò che accade sia “segno dei tempi” segno che manifesta la presenza dello Spirito nella storia. Ovvio che questa impostazione valga anche per la secolarizzazione, percepita allora dai progressisti come “purificazione” del messaggio evangelico e valga per l’etica, specie nell’ambito della vita, della sessualità e della famiglia, quello che più si distanzia nelle nostre società dall’etica tradizionale cattolica. Solo in pochi casi si è giunti da parte di moralisti cattolici (più spesso da protestanti) a legittimare moralmente i rapporti sessuali prematrimoniali, il vivere una sessualità omosessuale, il divorzio (tra i cattolici sotto forma di facile dichiarazione di nullità del matrimonio), ecc. ma è invece diffusissima la convinzione, anche nel clero, che a proposito di tale ambito dell’etica, più che di veri e propri peccati (e non si dice più “gravi”) si tratti di “debolezze”, “difficoltà”, che la “misericordia di Dio” non può che considerare trascurabili. L’insistere sulla “misericordia” ( e sorprende che di questo messaggio ecclesiale si facciano portavoce mass media di solito poco inclini a sostenere il magistero ecclesiale) altro non sarebbe, quindi, che una manifestazione dell’indebolimento delle certezze etiche, per non entrare troppo in conflitto con il relativismo etico della cultura dominante.
Da padre di famiglia, constato che il rimprovero ai figli è in generale in proporzione alla gravità delle violazioni di norme e valori. Su cose da poco si può passare sopra; su fatti gravi prima di dare il perdono serve un ravvedimento profondo e talora anche un castigo. Se si insiste sulla misericordia, senza prima richiamare la gravità delle violazioni, si dà l’impressione che in fondo, quelle mancanze non siano poi così gravi. Altrimenti ci sarebbe un castigo (la pena). Perché Dio Padre non dovrebbe comportarsi come un buon padre?
Non si può escludere che entrambe le spiegazioni ipotizzate abbiano elementi di verità. Sarebbe interessante capire se vi sono altre spiegazioni. L’assumere il messaggio giubilare in modo acritico, come sembra facciano i più, non mi sembra il modo migliore per vivere la Chiesa.