l’Adige del 10 giugno pubblica una lettera di Tullio Martinelli (forse è un vecchio mio compagno di Seminario) che, commentando negativamente dichiarazioni di Baracetti sull’ateismo del candidato sindaco delle sinistre Ianeselli, chiama in causa anche me attribuendomi la dichiarazione, evidentemente da lui considerata aberrante, che “la destra è più cristiana della sinistra”.
Si tratta di una strumentalizzazione della religione, afferma Martinelli, come quella sui crocefissi o sulla corona del rosario.
Il tema sollevato ha una portata assai più ampia. La fede religiosa ha impatto sui comportamenti? Difficile negarlo. E tra questi comportamenti, vi sono anche quelli politici? Altrettanto difficile negarlo. E nel valutare l’affidabilità di un politico, a qualsiasi livello, è sbagliato tener conto delle probabili conseguenze sui suoi comportamenti nel governare della sua fede religiosa? Perché mai tenerne conto sarebbe solo “strumentalizzazione”?
Ovviamente la fede religiosa non è l’unico carattere che può incidere sulle scelte di interesse per la collettività, e quindi sarebbe riduttivo basare solo su di essa il giudizio sull’affidabilità di una persona, ma certamente essa segnala i “valori ultimi” ai quali una persona fa riferimento. E qui da sociologo che ha studiato “valori” da una vita, con ricerche empiriche su campioni rappresentativi, in tutti i continenti, non posso non constatare come le persone più religiose sono più attente ai valori della difesa della vita umana anche nei momenti della sua massima debolezza, all’inizio e alla fine, sono più sensibili al valore della stabilità e all’unità della famiglia naturale fatta da uomo e donna, sentono di più il valore del legame alla comunità civile della quale fanno parte, specie quella locale, unendo in ciò anche un più ampio senso di fratellanza universale. Quest’ultimo carattere, soprattutto, distingue il centro dalla destra, per la quale il legame con la “patria” intesa come comunità nazionale è dominante se non esclusivo sia nei confronti della Heimat locale che della comunità universale, ma per gli altri due caratteri la destra si caratterizza per condividerli assai di più della sinistra, che segue impostazioni di relativismo etico individualista.
Anche per queste considerazioni vale il fatto che le risposte alla attuale “sfida antropologica” e i sentimenti di appartenenza socio-territoriale non sono gli unici elementi per valutare l’affidabilità di un politico per il perseguimento del bene comune così come una persona lo concepisce, ma se qualcuno ritiene, come me e tanti altri, che essi siano molto importanti nella gerarchia di valori, non vedo perché il dirlo sia strumentalizzazione della religione. Chi è religioso, da noi cristiano, crede in un fondamento ultimo dei principi etici, il volere di Dio, fondamento che invece manca all’ateo, che riconduce tutto a decisioni degli uomini, e quindi sempre rideterminabili (concezione relativista). Per chi crede in Dio un ateo è meno affidabile in linea generale di un credente, perché il criterio di giudizio su scelte nel caso dell’ateo ha fondamenti assai più fragili, fermo restando che vi possono essere credenti (deboli) meno affidabili di atei (che almeno possono condividere profonde convinzioni umaniste, anche se convenzionali). Il giudizio di Baracetti su Ianeselli esprime quindi un sentimento di ovvia diffidenza di un credente verso chi ha altri valori “ultimi”, ha altre concezioni del senso della vita e del mondo. Non è “strumentalizzazione”; semmai una “semplificazione”, estendendo a una singola persona un giudizio che invece vale, a mio avviso, e solo probabilisticamente, per un’intera categoria.