Su l’Adige del 15 settembre scorso Giorgia De Paoli, già attiva in un istituto delle Nazioni Unite per il progresso delle donne, cerca di addurre ragioni per l’introduzione anche nel Trentino-Alto Adige di vincoli nella libertà di esprimere le preferenze nelle votazioni comunali e provinciali-regionali. Il vincolo che ritiene giusto, e che il Consiglio Provinciale di Trento sta discutendo, consiste nel concedere la possibilità di esprimere due preferenze solo se una è a un uomo e l’altra a una donna, ritenendo che tale vincolo favorisca l’elezione di donne, dato che “spontaneamente” gli elettori e le elettrici tendono a preferire uomini, anche se nelle liste vi sono molte candidate.
Già in altre occasioni avevo espresso la mia contrarietà a introdurre vincoli nella libertà di voto che tendano a favorire l’elezione di appartenenti a qualche categoria. Se si percorre tale strada, si apre la porta a vincoli che favoriscano la rappresentanza di giovani, dato che tra gli eletti sono sottorappresentati, la rappresentanza di coloro che hanno un’istruzione non superiore a quella dell’obbligo, dato che sono sottorappresentati, la rappresentanza di operai, di contadini, di discendenti di immigrati, e così via per altre categorie, dato che sono sottorappresentati. La non giustificazione di tali vincoli appare più chiaramente per le donne, dato che tra gli elettori, sono la maggioranza, non certo impedite, quindi, di votare una buona rappresentanza di donne.
Nella società tradizionale gli affari pubblici sono generalmente gestiti dagli uomini e quelli domestici più spesso dalle donne. Tant’è vero che perfino nell’Italia liberale, fino a settant’anni fa, le donne non potevano neppure votare. La società moderna reclama la parità di diritti tra uomo e donna e l’ha pienamente realizzata: perché “forzare” con vincoli l’esito delle libere scelte di uomini e donne?
Chi sostiene tali “forzature” afferma che servono “misure di discriminazione positiva” per accelerare mutamenti nella direzione che si ritiene più opportuna. Ma il giudizio di opportunità non appare scontato e univoco. L’articolo di Giorgia De Paoli cerca di dare fondamenti obiettivi all’opportunità che in politica ci siano molte donne, ma sono proprio tali fondamenti a mostrare estrema debolezza. E la debolezza consiste in un’ingenuità imperdonabile per un ricercatore: l’attribuzione di valenza causale a semplici concomitanze. Il constatare che in comuni, regioni, stati dove ci sono più donne in politica si registrano anche fatti positivi (più acqua potabile, più assistenza all’infanzia, più congedi parentali, ecc.) non prova che essi siano dovuti proprio alla maggior presenza di elette donne. Si potrebbero trovare altre concomitanze con fatti negativi. Se fosse così chiaro che è vantaggioso avere molte donne elette, non si capisce perché uomini e donne non preferiscano eleggere donne anziché uomini. E Giorgia De Paoli non tiri in campo le discriminazioni contro le donne presenti in alcuni paesi! In Italia queste non hanno influenza alcuna, come non l’ha la regolazione del diritto di voto in Vaticano.
Bisognerebbe invece chiedersi per quale ragione la maggiore propensione degli uomini ad occuparsi dicerti ambiti della vita e la maggiore propensione delle donne ad occuparsi di altri ambiti non possano essere semplicemente espressione della diversità di uomini e donne, non solo fisica, ma anche psicologica e sociale. E bisognerebbe chiedersi perché tale diversità non possa variare da paese a paese, da regione a regione, da città e villaggi, senza dover giudicare negativamente quanto si discosta da un proprio modello, pur se fatto proprio da istituzioni internazionale sulle cui posizioni intervengono lobbies che tale diversità avversano.
Se il Trentino-Alto Adige seguisse un modello diverso da quello seguito da altri, potrebbe semplicemente dare un segnale di “autonomia culturale” nei confronti di spinte conformistiche verso un modello che nega la libertà di articolare una composizione dei ruoli di uomini e donne secondo le preferenze spontanee delle popolazioni.