Su l’Adige di lunedì 23 gennaio si leggono due interventi riguardanti in qualche modo il PATT, uno del suo segretario sen. Panizza e uno di un lettore, Gianni Rizzoli di Verla, che si aggiunge a un paginone di cronaca sul PATT. Sarebbe normale per esponenti politici di altri partiti, come nel mio caso, osservare e tacere, rispettando l’autonomia di ogni partito per le sue vicende interne. Proprio la lettera di Gianni Rizzoli, che dichiara di non essere mai stato elettore del PATT, mi spinge a proporre alcune riflessioni, come sociologo e come trentino.
Da un lato il sen. Panizza, che auspica un ampliamento delle competenze delle Province Autonome al campo della riscossione delle entrate fiscali anche statali; dall’altro un lettore non del PATT che si rammarica per l’espulsione dal partito autonomista di Walter Kaswalder, che nel PATT ha ricoperto per lungo tempo cariche importanti e che è venuto a rappresentare, dopo precedenti espulsioni o allontanamenti, l’area più tradizionale del partito, più interessata a mantenerne l’identità, fissata anche nello Statuto. Chi ha più meriti per l’autonomia? Chi opera per allargare le competenze amministrative del Trentino o chi opera per conservare una più chiara identità? I due obiettivi non sono di per sé contraddittori, ma lo sono nelle circostanze attuali. Per incidere di più sulle competenze è utile l’alleanza provinciale, regionale e nazionale con il centro-sinistra, che ha consentito e consente al PATT di avere la guida del governo provinciale e, assieme alla SVP, di pesare di più a livello nazionale. Ciò, però, richiede di sacrificare all’intesa con forze di tradizione non autonomista (specie con la sinistra), e per di più non di esplicita e non prevalente ispirazione cristiana (la sinistra), elementi chiari di identità del PATT, che nello Statuto dichiara di ispirarsi al pensiero sociale cristiano oltre che, evidentemente, al mantenimento dei tratti identitari “trentino-tirolesi” (non di rado perfino irrisi nei loro aspetti più visibili di folclore), e alla difesa delle autonomie locali sub-provinciali.
Walter Kaswalder (ma con lui anche pochi altri ed esponenti di rilievo dei “sizzeri”) è entrato in conflitto con l’area “governativa” del PATT principalmente su questioni di coerenza con l’ispirazione al pensiero sociale cristiano (si veda ad es. la questione “omofobia”) e con la difesa delle periferie (si veda ad es. la questione “punti di nascita” negli ospedali periferici). Non si è trattato e non si tratta di questioni secondarie, ma importanti per l’identità del partito. La scelta dell’organo di disciplina del PATT, l’espulsione di Kaswalder, segnala a mio avviso una grave miopia a medio-lungo termine. A breve scoraggia eventuali tentazioni di derogare alla disciplina di partito (o di gruppo) da parti di altri che si trovino a disagio (per la verità nei partiti democratici è sempre ammesso il voto in dissenso per motivi di coscienza) e quindi potenzia la posizione di governo, ma a medio-lungo termine costituisce indebolimento della specifica identità, senza la quale un partito diventa un’aggregazione elettorale che dura finché c’è il collante del potere e delle sue rendite.
Avendo avuto il ruolo di segretario di un partito in periodo di forte turbolenza, comprendo il disagio di chi ha responsabilità politica a dover far fronte a contestazioni e voti in dissenso. Mi chiedo, però, se il PATT non fosse nelle condizioni di sopportare tali contestazioni senza far venire meno il suo ruolo “governativo”, mettendo invece sul piatto della bilancia, in positivo, il tener viva nel partito la vocazione identitaria trentino-tirolese, di difesa delle autonomie di villaggio e di valle, di coerenza con l’ispirazione cristiana. Il non averlo fatto è evidente segno, nel migliore di casi, di debolezza, ma forse anche di non essere più sensibile al mantenimento e allo sviluppo della specificità della sua identità.
La “modernizzazione” del Trentino, specie la sua secolarizzazione, unite alla sua “italianizzazione” crescente può aver indotto i responsabili attuali del PATT a non credere più nella proponibilità ai trentini della sua specifica identità. Sarebbe una perdita per tutti i trentini, poiché un’autonomia che perda il suo fondamento identitario ha le gambe corte. Uomini come Kaswalder e donne come Linda Tamanini, (che lo ha difeso) non servono l’autonomia certamente meno di chi “al potere” ha capacità di incidere sulla sua portata amministrativa. E ciò dovrebbe far sopportare qualche “inconveniente” che può infastidire chi guida o gli alleati di governo.