L’episodio di uccisione e suicidio della coppia Palmieri Moser nelle valli di Cembra e di Fiemme sta interrogando tanti sul come arginare il fenomeno. La ricetta più indicata è quella di sensibilizzare opinione pubblica e agenzie educative al valore del rispetto dell’autonomia reciproca di membri della coppia. Serve insegnare, specie ai maschi, che il partner di una relazione ha tutto il diritto di rifiutare o interrompere o cessare la relazione, indipendentemente dalle conseguenze che ciò può avere su eventuali figli. Ci si può chiedere se non sia rilevante anche il grado di accettazione delle difficoltà di relazione tra i membri della coppia. Nei racconti di come andavano le relazioni un tempo, non era infrequente sentir dire che tra due genitori i rapporti non erano molto positivi, ma che stavano insieme sopportando, soprattutto per amore dei figli. Ma si può andare ancora più in là: occorre che vi sia una adeguata preparazione al matrimonio, o comunque ad iniziare una stabile convivenza. Da giovane sposo ero talvolta chiamato a intervenire nei corsi che la Chiesa Cattolica organizzava (e ancora organizza) in preparazione del matrimonio. Citavo spesso quanto in un volume di Fulton Sheen, arcivescovo di New York, aveva scritto, dal titolo “In tre per sposarsi” e che mi era apparso utile e convincente. Il “terzo” del matrimonio era Dio, il rapporto con il quale consentiva alla coppia di maturare un amore vero e stabile. Il rapporto doveva superare la fase dell’innamoramento, che non dura molto, per arrivare a quella dell’amore-carità, vale a dire di una scelta non più solo emotiva ma anche razionale di voler bene all’altro anche dopo che se ne sono scoperti i difetti, cosa normale nell’evoluzione di un rapporto di coppia. Il “Terzo” è Colui che dà la forza della stabilità della capacità e della decisione di amare nonostante difetti e disillusioni. E senza conoscere il libro di Fulton Sheen, questo è quanto vivevano le coppie. Nei corsi cui contribuivo si insegnava anche che la maturazione dalla fase dell’innamoramento a quella dell’amore, che doveva avvenire prima di sposarsi, era facilitata se nel periodo dell’innamoramento si rinunciava al rapporto sessuale, le cui dinamiche emotive e relazionali ostacolavano altre dimensioni del dialogo di coppia, relative ai valori da condividere e alla capacità di controllare gli istinti. Da quando ero giovane fidanzato e sposo il clima culturale è assai cambiato, anche per effetto dei mezzi di comunicazione di massa e ora elettronici. Ciò che conta è l’innamoramento: solo su di esso possono iniziare i rapporti sessuali prematrimoniali, può iniziare la convivenza e addirittura concepire figli e,di fronte a difficoltà, non si valorizza più l’amare l’altro nonostante i suoi difetti, non si tiene nel conto il bene dei figli eventuali, si deve ricorrere alla separazione e, se sposati, anche al divorzio. Il partner (per lo più il maschio) deve accettare la privazione, il rifiuto di continuare la relazione, poco importa se va in crisi esistenziale. Se la relazione fosse maturata in amore, con il sostegno per i credenti del “Terzo”, sarebbe più facile mettere nel bilancio anche l’altro.
In una società nella quale la cultura dominante rende il piacere criterio regolativo, nella quale la stabilità della convivenza conta assai poco privilegiando provvisorietà, assenza di impegno ufficiale neppure di impronta solo laica, si può certo cercare di arginare le esplosioni di violenza, ma sfilate e articoli sui giornali e interventi nei dibattiti televisivi sono poco per far superare il senso di deprivazione che scaturisce da un abbandono. Meglio poco che niente, sono qualcosa di più di ciò che in trentino si chiama “peti par la toss”, ma i fondamenti del rispetto assoluto per l’altro sono altri.
INVIATO A L’ADIGE E NON PUBBLICATO; PUBBLICATO DA IL T