Renzo GUBERT – Chi è?

Nato a Primiero l’11 agosto 1944, primo di dieci figli, padre primierotto (Turra di Pieve la nonna) e madre “fiamaza” (Delmarco di Castello il nonno e Paluselli di Panchià la nonna), famiglia di piccoli contadini in affitto, con il padre che, per necessità, lascia il lavoro agricolo a moglie e figli e fa il manovale stagionale nell’edilizia.

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natura e ambiente

Convivenza uomo e grandi carnivori: una strada impercorribile

Nel numero del 1° agosto di Vita Trentina vi sono due pagine dedicate a lupi e orsi. L’atteggiamento complessivo degli articoli e delle interviste è quello di favorire la buona convivenza tra uomo e grande carnivoro, un atteggiamento “politicamente corretto”  bene espresso da un’operatrice della comunicazione che lavora presso il MUSE. Il fondamento di tale atteggiamento sta nell’assunzione che vi è una pluralità di interessi in campo, che vanno contemperati: “allevatori, agricoltori, cacciatori, pastori, escursionisti”. Per realizzare tale contemperamento un articolo ricorda misure di prevenzione  di  predazioni, come “reti, recinti, cani da guardiania” fino ai box abitativi in quota, portati in elicottero, recente iniziativa della Provincia, per ospitare i guardiani degli animali domestici al pascolo.

Due osservazioni sul taglio dato da VT alle due pagine. La prima riguarda l’eclissi di ogni considerazione di “bene comune”, ridotto alla visione liberale di “contemperamento di interessi” privati. Non ogni interesse merita la medesima tutela. Se in gioco vi sono “beni comuni”, gli interessi che concorrono a realizzarli dovrebbero essere prioritari. Nel caso dei grandi predatori si sta già verificando la rinuncia di allevatori, specie di aree agricole marginali, a monticare i loro animali domestici per l’accresciuto rischio di farli diventare prede di lupi e orsi. La propaganda del “politicamente corretto” afferma che la Provincia interviene economicamente per finanziare l’acquisto di reti e per pagare i danni.  Sufficiente per evitare il ritiro dall’uso del territorio? Non pare. Di reti si finanzia solo quella (una o due) per la custodia notturna, non quelle necessarie per recintare una porzione di terreno a pascolo e gli indennizzi per le predazioni non pagano il danno morale di vedere animali curati tutto l’anno dilaniati dai predatori.  L’uso del territorio previene il suo abbandono e ciò realizza bene comune. Fuorviante equiparare l’interesse degli allevatori a quello degli escursionisti e degli animalisti, che hanno solo interesse a sapere che ci sono ancora lupi e orsi che girano per boschi e pascoli, uccidendo altri animali.

La seconda osservazione riguarda l’assoluta mancanza di attenzione alle attività agricole su territori marginali. L’antropizzazione dei territori nelle aree alpine è stata ampia. Il territorio trentino, come in generale quello della Alpi centrali, è costellato di piccole aree prative, con connesse strutture edilizie rurali, un tempo usate per la fienagione e per il pascolo nelle stagioni intermedie tra estate e inverno. Si tratta di un enorme patrimonio paesaggistico che altrove non c’è mai stato o  è andato perduto (Alpi orientali e Alpi occidentali). L’agricoltura meccanizzata cura le grandi superfici, la pastorizia i grandi pascoli. Senza agricoltori e allevatori marginali part-time, che non possono sostenere spese aggiuntive per cani da guardiania o per pagare qualche pastore di paesi poveri,  le piccole superfici, i piccoli masi, sarebbero abbandonati. Si può dire che conservarne l’uso, e non solo quello semi-turistico in poche aree, è “bene comune”? Penso di sì. L’operatrice di LifeWolfsAlp EU non ne fa cenno. Si pensa a far apparire “buono” e semplicemente selvatico il lupo, per ridurne la paura,  a tutela forse di qualche raccoglitore di funghi o di qualche turista spaventato  memore della favola di “cappuccetto rosso”, ma sulle conseguenze paesaggistiche e più largamente ecologiche dell’abbandono delle aree a prato marginali non una parola.

Per due sindaci corso di formazione su economia montana e presenza lupi

lettera non pubblicata da l’Adige

Caro Direttore,
L’Adige del 1° febbraio pubblica due interviste ai due sindaci di Folgaria e di Brentonico, comuni nei quali i lupi hanno fatto “cronaca”. Se mi consente, vorrei mettere in evidenza l’insufficienza delle loro posizioni sul problema lupi, posizioni che posso così riassumere:
1. attenzione agli interessi degli allevatori con sostegni a sistemi protettivi e rapidità nel pagamento da parte della Provincia dei danni subiti:
2. abbattimento dei lupi problematici;
3. campagna di informazione che tranquillizzi la popolazione, non usando il lupo attaccare l’uomo.
Ciò che colpisce, soprattutto da parte di sindaci di comuni di montagna con ampie superfici a prato e pascolo, è la totale non considerazione dei danni del lupo non immediati, ma nel giro di pochi anni, e non ai soli allevatori, ma all’intera popolazione e all’economia di montagna. In un’intervista a una TV locale il neo Presidente dell’Associazione Allevatori del Trentino, Giacomo Broch, ha insistito con argomentazione appropriate sullo scoraggiamento che la presenza dei lupi esercita sulla pratica di pascolo e indirettamente di taglio dell’erba delle piccole superfici a prato un tempo definite “maggenghi”. I rimedi che i due sindaci hanno ripetuto da dichiarazioni di enti e associazioni animaliste sono solo palliativi assai poco efficaci. I lupi scavalcano reti elettrificate anche le più alte oggi in produzione; il terreno irregolare assai frequente in montagna rende poi più facile il superamento della rete. Nessun allevatore trentino continuerà ad allevare e curare animali per la previsione di rimborso, anche rapido, delle predazioni subite; se le cose non cambiano, pochi anni di pazienza nell’attesa che la situazione cambi e poi smetterà. Le campagne informative hanno scarsa efficacia nel produrre il convincimento dell’innocuità per l’uomo di branchi di lupi affamati, e sempre più affamati quanto più, senza nemici, si moltiplicano rapidamente. Se poi un lupo è problematico o meno lo si sa solo dopo che ha compiuto aggressioni. La storia di Cappuccetto Rosso nessuno se la sarebbe inventata se fosse certo e impensabile che dei lupi affamati (o semplicemente cacciatori per istinto e divertimento) non aggredirebbero mai un essere umano, specie se non in grado di difendersi, come un bambino o un anziano o un handicappato nei movimenti.
Folgaria e Brentonico sono comuni montani ad alto sviluppo turistico. Tutti gli esperti di turismo vedono nella cura dell’ambiente rurale montano un fattore attrattivo. L’inselvaticamento delle valli osservabile in molta parte delle Alpi occidentali, specie francesi, ha ridotto l’attrattività turistica alle grandi stazioni alberghiere d’alta quota per gli sport invernali. Forse la campagna informativa della Provincia andrebbe fatta per i sindaci dei comuni montani, incapaci di vedere le conseguenze future dell’aver tolto ai lupi l’unico “vertice” che ne controlla la diffusione e che per secoli e millenni era stato l’uomo.
Cordiali saluti,
Renzo Gubert (allevatore a tempo parziale di asini e capre, già segretario della Commissione Agricoltura della Camera dei Deputati, già Presidente della Commissione Agricoltura, Ambiente ed Enti locali dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, già professore ordinario all’Università di Trento di Sociologia urbano-rurale e professore a contratto di Sociologia delle Comunità locali)

Provincia di Trento: peggioramenti per agricoltura marginale

Oggi mi è arrivata la richiesta dell’Azienda Sanitaria Provinciale di pagare una nuova tassa per l’iscrizione (obbligatoria) delle mie poche capre (dieci) all’apposita Anagrafe. A differenza di quanto accade per i debiti verso il fisco per l’IRPEF, da non versare se gli importi sono piccoli, in questo caso si stabilisce un minimo che è stato fissato nell’equivalente di 75 capre (15 euri più IVA più un altro balzello), non importa se uno ne ha una o due o dieci come me. A decidere questa nuova tassa è stata la Giunta Rossi con delibera del luglio 2018, un piccolo “regalo” pre-elettorale ai piccoli allevatori. Ma non basta; bisogna andare da un commercialista, a meno che uno non sia un esperto in materia, per capire come far funzionare il sistema della fatturazione elettronica. Mi chiedo come mai la nuova Giunta Fugatti, giunta popolare-autonomista per il cambiamento, non abbia provveduto a correggere gli odiosi balzelli introdotti dal centro-sinistra. Esistono anagrafi obbligatorie dei cittadini ed esistono anagrafi, sempre obbligatorie, delle api. Ma sono gratuite. Perché quella delle capre da gratuita è divenuta a pagamento? Per “servire” i piccoli allevatori marginali, dopo averli serviti con la presenza sussidiata dall’ente pubblico di orsi e lupi?
Ma non è l’unico peggioramento delle condizioni dei piccoli allevatori che la Giunta nuova ha introdotto o applicato ex novo senza correzioni, nonostante le segnalazioni.
In passato mi è capitato più volte che muoia una capra; con una telefonata si avvisava il Servizio provinciale veterinario e si consegnava  la capra morta alla ditta che provvede al trattamento della salma. Il veterinario pubblico andava dalla ditta per fare eventuali controlli sanitari. Il tutto veniva a costare 4 euri. Da alcuni mesi la procedura è cambiata; qualche settimana fa mi è morta, forse per avvelenamento al pascolo, una capra: non basta più avvisare il servizio veterinario provinciale, ma occorre chiamare un veterinario privato libero professionista (il quale non è subito disponibile) che viene presso il luogo dove è stato messo il cadavere della capra e fa il prelievo per gli accertamenti sanitari ed emette parcella. I peggioramenti sono due: necessità di mettere in qualche luogo il cadavere (che può iniziare a decomporsi se fa caldo e il veterinario privato non può venire o se il tutto accade di sabato e domenica) e pagare la parcella (una quota elevata del valore della capra viva). Fatta questa procedura, bisogna andare al Servizio Veterinario Provinciale (tempo da impiegare e costi) e consegnare l’attestazione del veterinario circa il prelievo fatto assieme al materiale organico prelevato. Poi bisogna contattare la ditta che tratta i cadaveri per la consegna del cadavere, il che può avvenire anche a distanza di giorni. Il peggioramento intervenuto è netto.
Un altro problema merita segnalare. Se muore un asino che hai dichiarato destinato al macello per carne, la PAT, come per le capre, assume l’onere delle spese di consegna del cadavere alla ditta che se ne occupa (salvo 4 euri). Se invece muore un asino che hai destinato alla riproduzione (ossia per tenerlo qualche anno perché produca asinelli), il costo dello smaltimento del cadavere è a carico del proprietario. Un paio d’anni fa, per un’asina morta nel partorire, il costo è stato di circa 300 euri, circa la metà del valore dell’asino vivo. Ma per avere asini da carne si devono pur avere asini per la riproduzione, ossia da vita!
E’ un po’ strano che la PAT da un lato condivida le lagnanze degli allevatori, specie marginali, sottoposti al rischio lupo e orso e dall’altro aggravi di costi e di burocrazia gli stessi allevatori che subiscono la perdita di qualche animale. Se il problema è quello economico, lo si risolva almeno senza aggravi burocratici, davvero eccessivi.
Un ultimo problema con il Servizio Veterinario; mia moglie quest’estate è stata morsa a un braccio dal nostro cane (spaventato dal trattamento anti-zecca). Si è recata al pronto soccorso e ha pagato la medicazione con la tariffa più alta. Giusto. Ma dopo alcune settimane il Servizio Veterinario Provinciale ha mandato un’ingiunzione di pagare circa 20 euri, solo perché qualcuno del Servizio ha telefonato a casa per informarsi sulla eventuale volontà di abbattere il cane. Mi sembra una ingiunzione ingiustificata, che fa arrabbiare chi la deve pagare, dato che non corrisponde ad alcuna prestazione nè ad alcuna osservazione dell’animale, come dichiarato anche nella lettera che trasmette l’ammontare da pagare.
I problemi che la giunta popolare-autonomista per il cambiamento deve affrontare sono certamente più grandi di quelli segnalati, ma si incarichi qualcuno ad occuparsi delle cose di poca importanza o che riguardano persone non molto “pesanti” politicamente, cominciando, almeno dal rispondere alle segnalazioni. Anche questo segnala il cambiamento, anche se il ministro Fraccaro, tempo fa, mi ha accusato di occuparmi di problemi risibili! Saranno risibili per lui, ma non per chi li subisce.

scritto 11 dicembre, inviato a l’Adige e non pubblicato

Orsi e lupi: abbandono dei prati e dei pascoli marginali

Sul numero 17 di Vita Trentina è riportato un articolo di Franco de Battaglia che, nel presentare un racconto di Anita Annibaldi relativo ai rapporti tra un’orsa e una lupa, entrambi con piccoli, argomenta a favore della presenza di lupo e orso in Trentino. I trentini dovrebbero essere orgogliosi che nel loro territorio vi siano lupi e orsi. Il lupo, a suo dire, insegna a cercare la libertà, lupi e orsi danno al territorio libertà e dignità, l’uomo deve non solo convivere con essi, ma essere loro riconoscente, perché evita che il suo territorio sia ridotto a palcoscenico.

Ritrovo un de Battaglia d’altri tempi, uomo di città che rivive con nostalgia i tempi della favola di Cappuccetto rosso, dimenticando, tra l’altro, il povero destino della nonna. E è stato solo un cacciatore che ha ucciso il lupo a dare un lieto fine alla vicenda del racconto. Conoscevo un altro de Battaglia, quello della difesa del mondo contadino, della tradizione, dell’economia marginale.

Cosa vuol dire convivere con il lupo? Sbarazzarsi dei topi come vanta de Battaglia, o rassegnarsi ad abbandonare i prati e i pascoli marginali, il cui uso non è di profitto per gli agricoltori e gli allevatori “professionali”, che forse potranno anche recintare le malghe, pagare dei pastori che veglino sul bestiame, mantenere cani anti-lupo, con l’ovvio contributo pubblico e risarcimento danni. Il Trentino è ricco di prati e pascoli marginali, quelli che servivano quando l’agricoltura era povera e di autoconsumo. Una parte è già stata mangiata dal bosco; un’altra è utilizzata per gente cui preme abbandonare il territorio; allevare un piccolo numero di capre, di pecore o di asini o qualche bovino è un modo per mantenere curato l’ambiente prativo e pascolivo ed avere la soddisfazione di produrre da sé cibo genuino. Le reti elettrificate facilmente spostabili evitano il lavoro di continua custodia: basta un’occhiata ogni tanto, il ricambio di batterie elettriche, se non si hanno i piccoli pannelli solari, assicurare l’acqua in un contenitore se manca, mettere il sale. Ma la rete per il controllo degli animali sul prato non basta per difendere gli animali da lupi e orsi. Persino la Provincia ha smesso di dire che bastavano e non a caso la Magnifica Comunità di Fiemme (così è stato riportato suo giornali) sta sperimentando forme di recinzione fissa robusta ed efficace. Per chi cura prati e pascoli marginali non sono proponibili i costi delle difese presumibilmente efficaci. Delle due l’una, o si eliminano da ambiti molto antropizzati e destinati ad uso di allevamento i predatori di animali allevati o verranno abbandonate le superfici prative e pascolive marginali. Pia illusione quella di De Battaglia che la presenza di lupi e orsi scoraggino l’uso della montagna come “discoteca per i decibel di massa”. Dai “decibel” lupo e orsi stanno alla larga e se si facessero vivi, ci sarebbero pronte le “guardie” a scacciarli. Spero che un uomo e un intellettuale amante della montagna, come Franco de Battaglia, riveda il suo romanticismo urbanocentrico.

scritto l’8 maggio 2019

Percorso della Valdastico in Trentino: Dellai propone lo sbocco in Alta Valsugana, ma rischia di peggiorare la situazione

La candidatura di Dellai nel collegio di Pergine ha ovviamente sollecitato la sua attenzione ai problemi della Valsugana e uno di questi è il completamento dell’autostrada della val d’Astico, al quale si è sempre opposto quando era presidente della Provincia. I valsuganotti da tempo volevano tale completamento per ridurre il traffico pesante che dal Veneto è diretto a nord gravando sulla Statale 47. La soluzione che egli sponsorizza appare non proprio un vantaggio per la Valsugana, portando a gravitare sull’Alta Valsugana anche quel traffico pesante che attualmente non è interessato a utilizzare la SS 47 e che utilizza il percorso autostradale A4-A22 via Verona, senza contare i possibili danni aggiuntivi idrogeologici, paesaggistici e l’aggravio di emissioni inquinanti da traffico. L’Alta Valsugana in ogni caso non ne beneficia, neppure “vendendo” il tratto dalla piana di Levico-Caldonazzo a Trento Sud come parte della “circonvallazione ” di Trento, come immaginificamente la definisce Dellai (per la verità come pezzo di circonvallazione è veramente lunga!).

Ma veniamo allo sbocco della galleria a Trento Sud, dove si stende l’ampio spazio ambientale di boschi e laghetti del Casteller. Quali conseguenze per l’ambiente e l’assetto idrico dalle emissioni dei veicoli e dallo scavo? Già Dellai ha fatto inutilmente depositare un’enormità di scarti di galleria negli spazi agricoli fra Trento e Mattarello per caserme che non verranno mai fatte. E’ giusto completare l’opera danneggiando anche le colline del Casteller o quelle vicine?

Da ultimo la sollecitazione di guardare a un raccordo autostradale per le sue valenze di sistema, cui ha invitato anche l’ex sindaco di Levico Carlo Stefenelli. Lo sbocco dell’autostrada nell’Alta Valsugana va a interessare un’area già congestionata. V’è, invece, un’area industriale che ha subito crisi, quella di Rovereto. Il raccordo della val d’Astico con Rovereto ne rafforzerebbe la centralità, aiuterebbe, invece che creare più problemi.

Perché Dellai e Provincia sostengono la soluzione dello sbocco in Alta Valsugana, che pur non pare avere vantaggi rispetto allo sbocco a Rovereto? Pare di capire che il motivo stia nello scaricare su chi avrà l’autostrada (o superstrada che sia) gli oneri stradali altrimenti a carico della Provincia per risolvere i problemi della viabilità della SS 47, almeno da Levico a Trento. Una SS47 declassata a strada locale urbana non necessita di grandi interventi a carico della Provincia, come invece la galleria sotto il colle di Tenna per tutelare il lago di Caldonazzo. Niente di male, se così fosse, risparmiare risorse provinciali, ma sarebbe meglio dirlo, non spacciare un progetto come “uovo di colombo” così vantaggioso che ha fatto convertire alla PI-RU-BI chi l’ha combattuto per decenni!

Spero che a orientare le scelte trentine sia soprattutto una seria analisi di impatto, ambientale, economico, sociale, di più alternative.

Accademia Europea di Bolzano: adeguata la sua ricerca valutativa della chiusura estiva del Passo Sella?

Sul Trentino di mercoledì scorso 25 ottobre in cronaca regionale il titolo recita “Passi chiusi, soddisfatto il 97% dei turisti” e il riferimento era alla chiusura per un giorno alla settimana, in estate, del Passo Sella. A fornire lo spunto per il titolo, una ricerca compiuta dall’Accademia Europea di Bolzano sui turisti che in bicicletta o a piedi o con l’autobus sono saliti al passo nel giorno di chiusura al traffico. Sono citate riserve, ma solo degli operatori economici del passo. Gli assessori competenti delle due province, presenti alla presentazione dei risultati, si dichiarano incoraggiati ad estendere l’iniziativa a più giorni e a più passi.

Da ricercatore da cinquant’anni non posso che far rilevare l’enorme scarto tra quanto i ricercatori dell’Eurac hanno trovato con la loro ricerca e le conclusioni cui cronista, titolista e assessori pervengono.

Si può dire che è soddisfatta la quasi totalità dei turisti, se non si è intervistato un campione di tutti i turisti del periodo considerato, e non solo di quelli che il mercoledì sono saliti al Passo Sella? Una ricerca valutativa seria avrebbe dovuto considerare l’insieme dei turisti, anche coloro che il mercoledì non hanno potuto o voluto salire al Sella a piedi o in bici o in autobus. Come nasce l’iniziativa dell’Eurac? Chi ha voluto limitare l’indagine solo a quella parte di turisti?

Una ricerca valutativa seria avrebbe poi dovuto considerare non solo l’opinione dei turisti, ma anche dei residenti o dei transitanti non turisti che hanno dovuto fare a meno di una strada che loro serviva per le loro attività o per le loro relazioni.

Pare di capire che sono stati intervistati gli operatori economici che hanno la loro attività sul passo, ma nessun dato sulle loro risposte è stato reso noto, almeno nella pagina di giornale dedicata alla ricerca. Come mai? O si è trattato solo di impressioni e dichiarazioni non trattabili come rilevanti per un approccio scientifico? Nessun dato, tra l’altro, è stato fornito sul metodo di scelta del campione di turisti che sono saliti al passo nel giorno di chiusura al transito. Il dubbio che, dato il contesto, non si possa dire che si tratti di campione rappresentativo è difficile da fugare.

Di interesse il fatto che operatori economici del passo abbiano dichiarato che alla perdita di incassi nel mercoledì di chiusura corrisponda a parziale compensazione qualche maggiore incasso negli altri giorni; osserva l’articolista che evidentemente chi non può salire al passo in automobile o in moto il mercoledì, lo fa il martedì io il giovedì. Tale constatazione contraddice in modo evidente le valutazioni degli assessori provinciali competenti in materia, che celebrano la tutela ambientale che la chiusura la traffico del mercoledì raggiungerebbe e che, in omaggio alle Dolomiti patrimonio UNESCO, andrebbe estesa. Se questa è compensata, come documentato, con più traffico veicolare privato negli altri giorni, difficile sostenere che vi sia un guadagno ambientale. Più concentrazione di traffico peggiora la qualità ambientale!

Possibile che con due istituzioni universitarie e con qualificate istituzioni di ricerca, prima di estendere un’iniziativa, i responsabili sudtirolesi e trentini non si muniscano dei risultati di una seria ricerca valutativa, come s’usa da parte di amministrazioni bene attrezzate?

Chi ama orsi e lupi se li protegga con recinzioni! Rovesciamo la prospettiva di animalisti e antropologi da salotto

Sul “Trentino” di domenica 30 luglio u.s. è pubblicata un’intervista di Gianpaolo Tessari a Duccio Canestrini, giornalista e antropologo. Certamente all’intervistato è sempre piaciuto andare “conto corrente”, almeno nelle parole e stavolta prende le difese dell’orso in Trentino, che altro non fa ciò che la natura lo spinge a fare. Se aggredisce l’uomo è perché questi non si è fatto sentire in tempo per consentirgli di fuggire dalla sua presenza e se aggredisce animali allevati al pascolo è colpa di chi li alleva e non li protegge. Sarebbe sufficiente circondare le aree a pascolo con reti elettrificate. Del resto di che cosa si lamenta l’uomo, che per natura è predatore e che in passato ha fatto fuori tutti i predatori che si muovevano nelle stesse zone? Il bosco, secondo lui, “va temuto”.
Ho l’impressione di trovarmi di fronte a dichiarazione di un antropologo da salotto, che non sa bene di che cosa parla. Da anni proteggo le mie capre e i miei asini al pascolo con reti elettrificate e molto spesso trovo la recinzione divelta da intrusioni di animali selvatici, che non la vedono di notte o non la temono o cercano di saltarla. A chi si vuol raccontare la storiella che un orso o un lupo si arresterebbe di fonte a una rete elettrificata, se è affamato in cerca di cibo? Questa non arresta nemmeno le capre e gli asini se questi vedono erba più abbondante e fresca al di là della recinzione. Ma forse la Forestale e gli antropologi da salotto pensano a reti metalliche alte e con l’alta tensione, quando la raccontano. Non si tratta certo delle reti elettrificate a 9 o 12 volt di tensione, come di norma.
La rete può servire a qualcosa, ma se si tratta di recintare un’area circoscritta, limitata. E’ impraticabile nei pascoli alti e scoscesi, con terreno molto irregolare. In ogni caso la recinzione costa denaro e tempo per posarla e poi periodicamente spostarla e per cambiare le batterie (a meno che non si usino pannelli fotovoltaici, assai cari ed esposti a furto). E’ un aggravio di costi per un’agricoltura-allevamento marginale, quella che mantiene curato il paesaggio anche dove gli agricoltori-allevatori professionali non hanno convenienza ad operare. Ridicolo finanziare recuperi di aree pastorali inselvatichite, finanziare l’agricoltura di montagna, e poi metterne a rischio le produzioni per il gusto di far tornare i grandi predatori nei boschi e nei pascoli, da molto tempo liberi da minacce predatorie. Se proprio Duccio Canestrini e chi la pensa come lui vogliono provare l’emozione del timore entrando in un bosco, pongano le recinzioni elettriche a difesa di orsi e lupi in aree di loro caccia. Dicono che l’uomo è predatore: ebbene mettano a protezione delle sue prede delle recinzioni. Si è fatto in qualche area anche per cervi e caprioli. L’uomo predatore non fa che il suo mestiere se caccia orsi e lupi: di che lamentarsi? Se sei amante di orsi e lupi, “le tue bestie le devi proteggere, non puoi lasciarle incustodite”, parafrasando una frase di Canestrini rivolta agli allevatori.
Quanto al fatto che contro la presenza di grandi predatori nei boschi trentini siano coloro che temono l’immigrazione non regolata da parte di clandestini, esso non fa che dimostrare che vi sono coloro che amano le “nuove esperienze” , per il gusto di sperimentare emozioni nuove, e coloro che prediligono la “sicurezza” di fronte a possibili esiti negativi di fatti nuovi. Antropologi e sociologi sanno che i popoli hanno ambito sempre a controllare il loro ambiente da intrusioni non desiderate. Ho il timore che chi difende possibilità di intrusioni di ogni tipo in nome del gusto delle “nuove esperienze” non si curi abbastanza del bene del popolo cui appartiene. Forse un’esperienza come quella vissuta dai due trentini di Cadine con l’orso potrebbe aiutare Duccio Canestrini e tutti gli “animalisti” a capire un po’ meglio il buonsenso della gente comune.

Passi Rolle e Sella: vittime di un ambientalismo dogmatico?

Confesso che due fatti che hanno avuto molta attenzione sui giornali locali in questi giorni mi hanno indotto a riflettere: la chiusura al traffico per un giorno alla settimana di Passo Sella e l’entusiasmo di molti di fronte all’idea di un manager de La Sportiva di eliminare da Passo Rolle gli impianti di risalita per lo sci di discesa per rendere Passo Rolle una stazione per relax e pratiche sportive “leggere”, più “naturalistiche”. Strade larghe ed asfaltate per passare da una valle all’altra, conquista degli anni Sessanta, sono viste come strumento di snaturamento della bellezza dei passi alpini. Impianti di risalita per rendere facile la discesa con gli sci, da progresso sono diventati deturpazione del paesaggio per chi alla montagna d’inverno chiede altro. Ciò che cinquanta e più anni fa era progresso, conquista, è diventato un “carico” da eliminare.
Negli anni della mia gioventù con degli amici esploravo il mondo in bicicletta. Le strade per i passi dolomitici erano strette e sterrate( il Rolle da San Martino in su), ed il rischio di cadere per le malformazioni della carreggiata era ricorrente: che sollievo quando si poté utilizzare una strada più larga ed asfaltata, da ultimo per il Passo Gobbera, il Passo Broccon, il Passo Cereda. Tramite il passo si entrava in rapporto con valli vicine. Si cominciò anche a usare del passo per lavoro o per studio nella valle vicina. Ora conta godere il passo di per sé, libero da veicoli, come se per chi non ama vedere strade o impianti di risalita non bastasse spostarsi di un po’ per avere quello che gli piace, senza costringere chi la strada usa a farne a meno o chi dall’impianto ricava utilità (e in montagna non sono tante) o piacere, a rinunciarvi.
Un tempo l’economia montana portava a fare dei corsi d’acqua i confini tra gli spazi delle comunità locali ( e ci sono ancora memorie in molti confini amministrativi, compreso Vanoi e Travignolo per restare a Primiero); la montagna era l’habitat comunitario. Poi l’economia è cambiata, le interdipendenze si sono organizzate lungo i corsi d’acqua e la montagna è divenuta solo ostacolo. Chiudere i transiti dei passi (sia pure per ora temporaneamente) o eliminare attività attrattive sui passi, da rendere più “naturali”, è un ulteriore episodio della separazione tra valli. E Rolle viene incorporato nella val di Fiemme. Decenni di inutili chiacchere per collegarlo con San Martino e Primiero; l’esposizione a valanghe della strada continua a rimanere e il collegamento degli impianti sciistici di San Martino con quelli di Rolle viene prima declassato (non più “mobilità alternativa” per poter godere di finanziamento pubblico), e poi proposto per la sepoltura con l’idea del Passo Rolle libero da impianti. Eppure non sono passati molti anni da quando esperti e politici ne proclamavano l’importanza.
La trasformazione della montagna da spazio antropizzato a “riserva naturale” sta intaccando anche i canali di comunicazione, che appaiono ormai solo “deturpanti” l’ambiente. Si fa il paio con la facilitazione all’insediamento di animali grandi predatori, orsi e lupi per ora, che alla lunga porteranno al ritiro dall’alta montagna fatta di pascoli di coloro che la usano per gli alpeggi di pecore, capre, equini, bovini. E il tutto guidato dalle élite urbane o urbanizzate, da sempre sensibili alla “naturalità” dell’ambiente dove godere il proprio tempo libero. Ma non possono goderselo altrove? Ci sono molti spazi “vergini” in montagna. Vogliono proprio far ritornare a una finta verginità un passo, (il Sella o il Rolle ora, ma poi anche altri), finta perché non propone altro che un nuovo “consumo ambientale” più alla moda per alcuni ceti intellettuali o pseudo-ambientalisti o amanti di “nuove esperienze”?
Credo che serva un momento di riflessione, specie da parte delle élites locali delle aree di montagna; non devono prestarsi a colonizzazioni che sembrano alla moda: la moda di salire su una grande strada asfaltata in bicicletta o quella godere di un paesaggio senza ingombro di impianti proprio su quella piccola parte di territorio che ha sviluppato opportunità diverse e consolidate.

Morte ai selvatici immigrati clandestini (mufloni, cinghiali); immigrazione agevolata ai selvatici pericolosi (orsi e lupi): razionale|?

di il 2 Febbraio 2017 in natura e ambiente con Nessun commento

In questi giorni sui quotidiani locali si è fatto cenno a problemi in Trentino legati alla fauna selvatica. In un caso dei forestali hanno abbattuto un muflone (che tale poi si è rivelato non essere, ma un normale caprone) e in un altro veniva proposto di affidare ai cacciatori il compito di far fuori i cinghiali. Perché mufloni e cinghiali sono da eliminare? La ragione sta nel fatto che non sono parte della selvaggina autoctona tradizionale. Facilitati da “trafficanti clandestini” sono immigrati in Trentino.

Mi sono chiesto se anche orsi e lupi non siano “immigrati” da fuori Trentino, e quanto a danni, almeno per chi vive in montagna e di agricoltura-allevamento, non sono secondi agli immigrati clandestini. Eppure sono benedetti da chi ha il potere di vita o di morte sugli animali selvatici.

Perché due pesi e due misure? Il motivo starebbe nel fatto che lupi e orsi una volta c’erano in Trentino, mentre gli altri no, sono di “razza diversa” da quelle locali. A parte che non è facile dimostrare che mai nessun cinghiale o nessun muflone non abbia nei millenni trascorsi soggiornato in Trentino, mi sono chiesto quale sia il retroterra valoriale di tale discriminazione. Che sia un razzismo latente, che trova sfogo nel rapporto con gli animali, sì agli autoctoni (per via di specie, di razza, non di individuo) e no ai foresti? La globalizzazione, l’abolizione delle frontiere, la libera circolazione alla ricerca di un livello di vita più adeguato, vale solo per i primati homo sapiens? E invece la difesa dell’autoctonia vale solo per gli animali selvatici?

Non c’è qualcuno che dice che è l’uomo ad essere un ospite dell’ambiente, e non un padrone? Ma se è così, perché si consente che l’ospite possa decidere chi accettare? Poiché penso che l’uomo non sia ospite, ma buon amministratore per le esigenze innanzitutto umane, orsi e lupi, mufloni e cinghiali vanno amministrati in funzione dell’uomo, agricoltore-allevatore e cacciatore innanzitutto, e sinceramente penso che orsi e lupi siano più pericolosi e dannosi per gli altri animali e per l’uomo di mufloni e cinghiali.

difesa degli orsi e attacchi ai motociclisti

di il 25 Agosto 2016 in natura e ambiente con Nessun commento

Nella comunità trentina si registrano posizioni che fanno riflettere. L’ultima è quella dell’assessore provinciale Dallapiccola, del PATT, che esalta la moltiplicazione degli orsi in Trentino, segnale, a suo dire, di un territorio che ha riacquistato la sua integrità naturale. Ammesso che lupi, linci, orsi siano testimoni di un territorio tornato alla natura di un tempo, v’è da chiedersi a chi giovi tale ritorno, a chi tale ritorno sembri un progresso. Non certo agli allevatori, cui i risarcimenti non coprono il danno morale (e neppure tutto quello materiale), e suona strano che un assessore all’agricoltura sacrifichi gli interessi degli allevatori. Si suggerisce di usare recinzioni elettrificate (che non fermano nessun animale selvatico e a volte neppure quelli allevati, esperienza diretta pluriennale) e di far rientrare in stalla gli animali per la notte. Ma dove le stalle non ci sono? Capita di norma per il pascolo in alta montagna di pecore, capre, asini, che utilizzano pascoli marginali altrimenti destinati all’abbandono. Ma gli obiettivi delle politiche agricole e ambientali non mi pare inducano ad abbandonare i pascoli marginali! Contraddizione evidente! Conclusione: per orsi e lupi è tutelato l’interesse (estetico-ideologico) del cittadino per lo più urbano, di classe medio-alta, che ama sentirsi “progressista”, tendenzialmente di sinistra e che magari in montagna ci va poco anche per passare il suo tempo libero. Dallapiccola dice che il Trentino contribuisce a salvare delle specie minacciate di estinzione; ma dove? Vi sono spazi dove orsi e lupi prosperano!
Ma v’è un’altra “campagna” che rivela l’attenzione ai medesimi interessi: è quella contro l’uso delle moto, specie per escursioni estive sulle strade di montagna. Danno fastidio se si muovono a gruppi numerosi e ad alta velocità, ma non si fa analoga campagna per limitare l’uso dell’automobile che congestiona strade e autostrade. Il motociclista escursionista è generalmente di classe medio-bassa (i ricchi, le classi medio-alte, hanno altri passatempi e usano altri mezzi per spostarsi per gli svaghi) ed è percepito come “non progressista”. Ragioni per le quali non merita molta considerazione. La musica strapazzata in ambienti inadatti (luoghi aperti di montagna) è celebrata per le Dolomiti (e il relativo congestionamento di strade e parcheggi non conta). A contare sono gli interessi (anche solo ideologici o estetici) di chi la moto non la usa, perché usa l’automobile, ma gari di buona cilindrata, o usa l’aereo, sono gli interessi degli intellettuali, che si pongono una spanna sopra quei “buzzurri” delle moto, certo lontani dalla sensibilità “politica” di sinistra.
Scelte in apparenza “progressiste”, ambientaliste, di sinistra, in realtà mascherano la sensibilità tipica di classi medio-alte, cui lo sbranamento di animali allevati dicono poco, un trascurabile incidente di percorso, cui il togliere dalla circolazione le moto rappresenta solo un trascurabile costo esigito dal progresso e dalla tutela ambientale.
E’ questo il Trentino che la classe dirigente sta costruendo? Alla faccia degli allevatori “marginali” e di chi per girare usa la moto?

(scritto l’8/8/2016)

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